«Meglio Socrate dell’Educazione civica». Servono l’uno e l’altra, e di più adesso
Gentile direttore,
sono un insegnante Filosofia e Storia e non riesco a credere che tutto quello che hanno da proporre la società civile e la politica per “raddrizzare” i rapporti tra ragazzi e adulti siano le lezioni di vita o l’educazione alla cittadinanza. Credo che proposte di questo genere siano un chiaro sintomo del problema: l’incapacità dell’opinione pubblica di comprendere la posta in gioco. Davvero si pensa che sia utile far stare i giovani un’ora in più a scuola a parlare di regole? La situazione educativa è gravissima. Ma devono essere le famiglie, i politici, i sindacati e sicuramente anche i docenti a comprendere i propri gravi errori. È necessario e urgente un dibattito pubblico serio. È possibile che tra progetti, riunioni, burocrazia (e ora si è aggiunta la famigerata “Alternanza Scuola Lavoro”) non si riesca più a trovare il tempo di far lezione con tranquillità? Parlo solo per i licei, perché là io lavoro: fatemi insegnare bene Dante, Socrate, Shakespeare e Michelangelo. Vedrete come cambieranno le cose… Ma l’avete mai letta l’Apologia di Socrate? Vale più di cento ore di educazione alla cittadinanza! Cordialmente.
Leonardo Eva, Firenze
Pubblico il suo amaro sfogo, gentile professore, e prendo sul serio la sua protesta. Per quel che vale, però, non cambio parere sull’utilità e sull’urgenza di reintrodurre (e rinnovare) un solido insegnamento dell’Educazione civica. E tanto più in una stagione della vita d’Italia che imporrebbe un impegno supplementare per trasmettere ai più giovani (qui nati o qui arrivati da altri Paesi) e, per loro tramite, accendere o riaccendere negli adulti la consapevolezza dei fondamenti morali e culturali del patto civile che ci unisce come cittadini di una democratica Repubblica. La lettura della platonica Apologia di Socrate e la riflessione su quelle pagine che, poco a poco, in forma altissima, portano a comprendere perché «non bisogna mai commettere un’ingiustizia nemmeno quando la si riceve», non è alternativa alla lettura della nostra bella Costituzione e non esenta dalla riflessione sui suoi (intangibili) princìpi fondamentali e sulle (perfettibili) scelte ordinamentali che la caratterizzano. Direi, anzi, che si tratta di letture splendidamente complementari. Anche in questo caso noi siamo e restiamo quelli dell’et et e non ci consegniamo alla logica dell’aut aut. Ho un’opinione piuttosto differente dalla sua anche a proposito dell’«alternanza scuola-lavoro»: non è una perdita di tempo, non si tratta di ore sottratte ad attività più proficuamente formative come l’aggettivo da lei scelto – «famigerata» – lascia intendere. È una buona pratica, che può anche essere migliorata o semplicemente meglio interpretata, ma non certo cancellata.
Pienamente d’accordo, invece, lei e io lo siamo sulla necessità di una “scossa” che rimetta al centro delle attenzioni – cito il suo breve e denso elenco – di «famiglie, politici, sindacati e docenti» la grande e serissima «questione educativa» che si pone da anni nel nostro Paese. E che non per nulla la Chiesa italiana in questo secondo decennio del XXI secolo ha cercato di mettere al centro della propria azione pastorale e del dialogo e della collaborazione con ogni possibile interlocutore. La collaborazione, diciamo così, non è stata spettacolare, e tanto lavoro resta da fare... Proprio per questo ci sforziamo di tenere sempre aperto sulle nostre pagine quello che lei spero consideri un «dibattito serio». Ma questo, probabilmente, lei lo sa già. Vedremo quale contributo verrà in questa speciale direzione dal nuovo Parlamento e dal nuovo Governo. La domanda è inevitabile visto e considerato che la questione non è stata tra quelle centrali nei giorni del debutto della compagine ministeriale… Ma lo diventerà, ne sono sicuro. Anche, facile prevederlo, per “spinta dal basso”. Ricambio il suo cordiale saluto, gentile professor Eva: buon lavoro anche in questa fase di chiusura dell’anno scolastico.