Opinioni

Il direttore risponde. Ma Dio non "se ne va", mai

Marco Tarquinio mercoledì 15 maggio 2013
Caro direttore, la lettera di padre Blasi dal Burundi («Abbiamo cacciato Dio dalle istituzioni politiche e sociali e pensiamo di farcela da soli…») che lei ha pubblicato martedì 7 maggio riprende le linee del giornale in modo chiarissimo e concordo pienamente (e – diciamo la verità – ognuno di noi dovrebbe fare mea culpa). Le analisi formulate da più voci negli ultimi anni sul decadimento generale sono tutte interessanti, ma trovo che il missionario richiami con molta efficacia la realtà sottostante. Ricordo una bellissima pagina di 20 anni fa, a firma del cardinal Danneels, arcivescovo di Malines-Bruxelles, che citava Dostoevskij (dall’'Adolescente'): gli uomini, trovandosi orfani (per la scomparsa del Padre) si stringerebbero gli uni gli altri… ma l’eccesso d’amore per Colui che «era» l’immortalità non trova più oggetto sufficiente: la natura, gli animali, le opere… nulla dà più sicurezza. E non c’è regola, che abbia l’autorità per essere rispettata. «Se Dio se ne va, siamo in pieno inverno». E prevale la solitudine. Nevrosi e depressione crescono, i problemi sembrano insolubili (e lo sono); Paesi di storico benessere diventano disperati. Colossali scandali, reati. Ma c’è una diffusa resistenza ad abbracciare la via indicata dall’amico missionario e in varie scuole si diffida ormai del messaggio cristiano (per malintesa neutralità). Meno male che nel Governo abbiamo adesso la buona Emma Bonino. Possiamo stare tranquilli… era un prezzo da pagare per la 'pace' sinistra-destra… Ora possiamo spalancare le porte dell’Italia a culture le più diverse, la nostra democrazia 'è forte'… Gabriele Zanola, Bagnolo Mella (Bs)
Già, caro signor Zanola, apriamo le porte e pure le finestre. Per cambiare l’aria e perché la nostra politica si rinnovi e si ripulisca davvero, perché la democrazia si rafforzi di valori e di trasparenza, perché la nostra vita civile recuperi solidità e freschezza, la fides che nei secoli l’ha fatta bella. E spalanchiamo anche gli occhi perché le porte e finestre della nostra casa comune non siano solo varchi “dall’esterno”, occasioni – come lei pare temere – di vulnerabilità, brecce attraverso le quali qualcuno possa immaginare e attuare irruzioni noncuranti e persino ostili a noi che la abitiamo e in essa negli anni abbiamo concepito, realizzato, e ancora possiamo farlo, un bene comune. Proprio così: spalanchiamo gli occhi, e spalanchiamo il cuore e la nostra vita di cristiani, perché siano varchi “dall’interno”– come ci insegna Papa Francesco – per far “uscire fuori” Colui che è la nostra speranza, la speranza della quale dobbiamo saper dare ragione. Spalanchiamoli per far “uscire fuori” ciò che abbiamo da dire e da dare alla comunità di cui siamo parte, al nostro Paese e a un mondo che a nessun uomo e a nessuna donna è mai davvero straniero. Anch’io trovo molto belle, potenti e incalzanti pagine come quelle di Dostoevskij e riflessioni come quelle del cardinal Danneels che lei richiama. Da sempre, però, cerco di conservare e condividere anche l’altra metà dello sguardo cristiano. Vede, caro amico, Dio non «se ne va», non se ne va mai, siamo noi che ce ne andiamo nell’«inverno» dei pessimismi e delle solitudini. Pessimismi distruttivi.
Solitudini che cerchiamo di “consolare” (o travestire) di autosufficienza, di autonomia, di autodeterminazione e di rendere orgogliosamente e pazzamente assolute. Le fughe dalla bellezza e dalla verità si compiono sempre e solo su gambe d’uomo, caro amico. E proprio per questo non possiamo cercare alibi o scuse: nessun «altro» – qualunque ruolo abbia e qualunque potere pro tempore eserciti – è un problema o una minaccia o una sconfitta se noi siamo noi stessi, se guardiamo e camminiamo nella direzione giusta, se ci battiamo con lucida fermezza e umana tenerezza per ciò che davvero vale. In questa straordinaria fatica di pensare, di sentire e di vivere, se appena tendiamo mano e voce, Dio c’è. C’è sempre.