Ciò che questo tempo ci toglie e ridà. E il Giorno dei morti che già abbiamo
Caro direttore,
penso che questo tempo di Pasqua porterà molti frutti: abbiamo riscoperto il valore del tempo, dello stare in famiglia, di fare una carezza in più ai figli, di vedere i colori della natura con occhi nuovi, di ascoltare quello che ha da dirci il silenzio... Silenzio che quando è ora di andare a letto è ancora più forte, che ci ruba il sonno e ci induce a pregare, una preghiera che viene dalle nostre paure, che ci porta a fare un esame di coscienza, un esame che prima era come scontato, ma che oggi merita di essere fatto tutti i giorni, perché ogni giorno può essere l’ultimo, e purtroppo lo è per tante persone. Ho 56 anni e so che la mia generazione ha avuto la fortuna di vivere gli anni più belli del boom economico, di vedere poca miseria e tanta ricchezza, ma come dice il salmo: «L’uomo nella prosperità non comprende». Ci siamo un po’ persi e abbiamo perso il vero senso della vita; lo capisci quando arrivi a una certa età e guardi gli anni che hai trascorso, volati a inseguire cose che facevano di tutto per non farti pensare, per tenerti impegnato a non impegnarti per davvero in quel che credevi e volevi professare... In questi giorni ammiriamo con orgoglio il coraggio dei nostri medici e operatori sanitari; ci stanno dando una grande testimonianza di amore e di coraggio, poi però, quando potremo uscire di casa, toccherà a noi entrare in campo e lottare perché una volta vinto il virus, bisognerà vincere anche gli altri virus: della fame, delle malattie, delle guerre, dell’inquinamento e preparare ai nostri figli a un mondo giusto... per tutti. Mi piacerebbe, poi, che tutte le persone che abbiamo perso – molti se sono andati soli, senza il sollievo della presenza dei parenti – potessero venire ricordate a livello nazionale dedicando a loro una Giornata dell’anno.
Guido Azzali
Ho pochi anni più di lei, caro amico, ho la sua stessa esperienza, sento la sua stessa attesa e nutro la sua stessa speranza. Che è bello descrivere come l’attesa di un contadino che ha la possibilità di raccogliere buoni frutti anche da una terra dura come questa che “lavoriamo” nel tempo di Pasqua doloroso, complicato e intenso dell’anno 2020. In realtà siamo tutti noi la terra e il frutto, la fame e la raccolta, la fatica e il coronamento anche di questa faticosa stagione. Oltre arroganze e frenesie. Ripeto: è realtà, non appena un sogno. È la realtà che affrontiamo che ci dà un compito concreto e ci chiede di avere una prospettiva vera. Per cominciare si tratta – lei lo dice bene – di “ritrovare” sul serio noi stessi. Dopo esserci «un po’ persi» e aver «perso il vero senso della vita» possiamo ridare un posto appropriato e il giusto peso a tutte le cose e a tutte le relazioni per noi fondamentali: con gli altri, con l’ambiente in cui siamo immersi, con Dio che per noi cristiani (ma anche per altri, che credono in modo differente) è l’alfa e l’omega, il principio e il senso finale di tutto. Con Lui o senza di Lui tutto è diverso. Ma che crediamo o meno, che sappiamo pregare o no, è importante che ci rendiamo di nuovo conto della nostra possibilità e della nostra responsabilità. È importante per noi e per i nostri figli. Per questo va presa sul serio la sfida di vincere, assieme al coronavirus, «gli altri virus: della fame, delle malattie, delle guerre, dell’inquinamento…». Non ce lo ripeteremo mai abbastanza e forse, lo sappiamo, non ci liberemo mai una volta per tutte da queste insidie. Il vaccino c’è, testa e cuore ce lo dicono, ma tardiamo a usarlo. Del resto la tentazione della sopraffazione e dell’individualismo più esasperato e sfruttatore è potente, e non va sottovalutata. Ma si può controllarla, ridurla ai minimi termini.
Qualcuno mette regolarmente in barzelletta questa speranza e questa convinzione che sono nostre, cioè sua, mia e di tanti altri. Qualcun altro sentenzia che il mondo non cambierà mai... Che pretesa! Cambiano tante cose dentro e intorno a noi, incessantemente. E il mondo ovviamente continua a cambiare. Per la parte che ci spetta, noi vogliano fortemente che cambi in meglio, perché del peggio travestito da meglio siamo stanchi. Ci illudiamo? Meglio “illusi” che tristi e cinici. Sì, meglio “illusi” che sazi e ubriachi di niente.
In coda alla sua bella lettera, caro signor Guido, lei suggerisce di individuare e proclamare una Giornata speciale per rendere omaggio a tutti coloro che a causa della pandemia sono morti da soli e magari senza parole di benedizione. Credo che questa giornata ce l’abbiamo già, e che valga la pena di viverla, anzi di tornare a viverla come merita dentro una grande tradizione di affetto e di rispetto che, da Nord a Sud, segna la nostra storia civile e religiosa. Penso al 2 novembre: “il giorno dei morti” nel parlar comune, la Commemorazione dei defunti per la Chiesa. Ripromettiamoci sin d’ora di viverlo comunque anche con questa intenzione così giusta, così delicata così forte. Ritroviamo, dopo averlo un po’ perso e persino stralunato, pure il senso del 2 novembre. Un senso pieno di pietà e di memoria, dolorosa eppure luminosa. Perché questo è la morte nella nostra cultura cristiana e questo dobbiamo saper “restituire” a chi è morto a causa di una terribile pandemia, ai familiari che continuano a piangerli e a tutti noi.