Lettera aperta al premier. L'Italia non si chiuda davanti alla tragedia
Onorevole presidente Conte,
mi scusi se oso scriverle una "Lettera aperta", secondo uno stile che inaugurai molti anni fa quando avevo qualche titolo per farlo (non foss’altro presidente di Pax Christi, Movimento cattolico internazionale per la pace); la Lettera più nota (o... famigerata, ma lei è troppo giovane per ricordarla) fu quella all’onorevole Berlinguer, l’allora segretario del Partito comunista italiano.
Scrivo questa lettera sul tema scottante degli immigrati (e la scrivo da un edificio diocesano che ne ospita ad Albiano d’Ivrea). Lo faccio non come antica autorità religiosa al presidente di un Governo "laico" (anche se un autorevole membro del suo Governo ha sbandierato, sia pure in campagna elettorale, simboli apertamente religiosi, anzi cristiani, quindi compromettenti) soprattutto dopo i costanti, appassionati appelli di papa Francesco e le autorevoli istanze dei responsabili della Cei. Lo faccio come cittadino dell’Italia che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a quanti, nel loro Paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche; lo faccio come cittadino dell’Europa, che, nella Carta dei diritti fondamentali, afferma: «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».
Ci siamo resi conto che lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più "cristiane") e dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni "umane" del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità. Mi lasci dire che siamo – parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo "forse" se guardiamo al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a vite umane. Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili.
Non ignoriamo che i problemi sono immensi, dai rapporti con Paesi che noi – Europa tutta – abbiamo contribuito a far divenire ciò che essi spesso sono (costruttori di lager e tutori di brigantaggi) a quelli con i Paesi di partenza degli immigrati (con cui già i Governi precedenti avevano progettato iniziative, sempre fermate al livello di progetti). Vorremmo davvero che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere.
Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio ("prima gli italiani" – quali italiani? – o "prima l’umanità"?!), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere – per sé e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa. Con ogni augurio e molta solidarietà.