Lettera a Conte da Norcia, 4 anni dopo: ciò che ci sradica e la fibra che serve
Gentile presidente Conte,
a quattro anni dal sisma sarebbe facile accanirsi contro una ricostruzione che non c’è, prendersela con la burocrazia, denunciare le tante e inutili passerelle. E sarebbe facile criticare le scelte che hanno prodotto lo spopolamento di interi territori oppure scandalizzarsi di quello che hanno passato i ragazzi delle superiori di Norcia o, per converso, della bellissima scuola di Accumoli vuota per mancanza di studenti. Sarebbe facile (e probabilmente giusto), ma ho capito che non serve. Sposto dunque l’attenzione su due questioni. Lo spopolamento – Anche se necessario, non basta “proteggere” il tessuto economico se non viene poi promossa la dignità di quel territorio, che vale molto di più della sua sola capacità produttiva. La percezione di tante persone si può riassumere in una sensazione chiara: “Nessuno ci dice di andare via ma le condizioni che si sono create spingono chiaramente in quell’unica direzione”! Lo spopolamento di un territorio, dei suoi borghi e dei suoi luoghi caratteristici è un impoverimento per tutti e non solo per quel territorio. Un futuro sostenibile – Dopo il terremoto l’obiettivo (quanto meno a parole) della ricostruzione è stato il ripristino dello stato delle cose come erano prima delle 3.36 del 24 agosto 2016. «Com’era dov’era», si diceva: quasi l’incipit di una favola amara, tutta rivolta al passato, priva di qualsiasi slancio sentimentale verso un tempo nuovo. All’udienza papale per le popolazioni colpite dal sisma del 5 gennaio 2017, mi colpirono molto queste parole di papa Francesco: «Avere il coraggio di sognare una volta in più». Forse è quello che ci manca, passare dalla rassegnazione al coraggio di sognare un futuro che non sia fotocopia del passato, ma più bello. Malgrado tutto e tutti. Ma un futuro più bello passa anzitutto dal sogno di ricostruire comunità solidali e impegnate in forme di cittadinanza attiva, con quell’idea di bene comune che Comuni ha fatto nascere nell’Italia medievale: pensarsi parte di qualcosa di più grande che dia forza e valore ai singoli. E poi c’è il sogno di vedere la nostra ripartenza (non voglio più chiamarla ricostruzione) all’insegna della sostenibi-lità, l’unica parola chiave per noi assetati di futuro. Una sostenibilità fatta di operazioni molto semplici e, certo, qualcuna più complessa. Parto dalle prime: perché non prevedere un bonus – per esempio – per chi intende realizzare, dove è possibile, una cisterna di recupero delle acque piovane per irrigare l’orto o il giardino? Le Sae (Soluzioni abitative emergenziali: le famose casette, che non sono di legno) hanno cominciato a profumare di vita quando sono fioriti i primi giardini nei piccoli quadrati di terreno a disposizione di ciascuno. Il sogno più grande, invece, è quello di vedere rinascere un territorio dove i giovani possano esprimersi pienamente senza dover trasferirsi per forza a centinaia di chilometri di distanza. Dove sta scritto che questi territori appenninici non possano diventare luoghi dove molti giovani (non dico tutti) desiderino stabilirsi, avendo le giuste opportunità? Per questo mi rivolgo a lei, presidente Conte, senza alcuna retorica ma col pragmatismo del curato: per esempio, abbiamo urgente bisogno della fibra. I lavori sulle linee telefoniche erano partiti ma naturalmente si sono fermati. In territori geograficamente difficili come il nostro la fibra è più necessaria che altrove, perché sarebbe l’unica via di comunicazione con l’Italia e col resto del mondo, per i nostri giovani e le nostre aziende. Solo la fibra, al resto pensiamo noi. In un mondo costantemente in ritardo, presidente Conte, ci aiuti a sentirci almeno una volta in anticipo!
La lettera non è diretta a me, ma la pubblico molto volentieri in questa rubrica. E alle parole di don Marco Ruffini, parroco di Norcia, aggiungo solo la mia firma di condivisione e di solidarietà e un piccolo appello. Caro presidente Conte, lei ha molti pensieri nei duri tempi che stiamo affrontando, ma questo che le arriva dalle terre del “cratere” appenninico sconvolte dal sisma del 2016 merita di non essere l’ultimo.