Il direttore risponde. Autosufficiente. Ma non sola
Caro direttore,
don Lorenzo Milani diceva che bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, anche se talvolta non è facile. Personalmente non mi disturba essere definita handicappata o persona con handicap, piuttosto che persona diversamente abile e disabile. Il nome delle cose non cambia la loro sostanza: un non vedente è pur sempre un cieco come l’operatore ecologico è lo spazzino. Le persone vanno rispettate nella loro dignità non soltanto con le parole, ma soprattutto con i fatti. Non sono le parole che mi disturbano, bensì i fatti. Mi disturbano, allora, i marciapiedi privi di scivoli o quelli dove gli scivoli ci sono ma hanno una pendenza elevata. Mi disturbano i negozi che hanno due entrate e in nessuna delle due c’è lo scivolo, oppure quelli dove c’è uno scivolo interno ma un gradino all’ingresso... Mi disturbano i locali, ristoranti o pizzerie dove c’è lo scivolo all’ingresso, ma manca il bagno per disabili (o viceversa) e quelli dove mancano tutti e due... Mi disturbano gli alberghi che si dicono provvisti di camere per disabili, ma il vano è piccolo per una sedia a rotelle, come la stanza da bagno dalla porta stretta e munita di un solo maniglione... Mi disturbano gli uffici pubblici privi di scivoli o con scivoli dalla pendenza stile rampa di lancio... E qui mi fermo, anche se potrei continuare, anzi no, c’è una cosa che più di tutte mi disturba: coloro che parcheggiano sugli scivoli per disabili e poi magari si commuovono quando ne vedono uno in tv. Concludo allora, rivolgendomi soprattutto a chi di dovere: definitemi come vi pare, tanto io non mi offendo, ma datemi invece la possibilità di muovermi e fare più cose possibili da sola. Questo mi basta.
Francesca Maria Zimmardi, Palermo