Ha giocato d’anticipo, mostrando una determinazione persino sorprendente. E ha messo il Pdl in un angolo. Comunque vada a finire, la mossa di Letta di arrivare in tempi brevissimi allo show-down con il Pdl gli consente di vincere il round di questa nuova e faticosa giornata. Perché a questo punto o otterrà in Parlamento la capitolazione del centrodestra, costretto a votargli la fiducia a denti stretti, oppure uscirà da Palazzo Chigi sugli scudi, da "eroe" sacrificato sull’altare delle questioni personali di Berlusconi, accompagnato da dal consenso popolare e da un rafforzato prestigio nei mondi che contano (industria, Ue, sindacati, Quirinale, ecc.), che tifano tutti contro la crisi.Certamente il giovane Letta, per temperamento ma anche per cultura politica, avrebbe preferito di navigare in acque più tranquille e portare avanti il suo programma di rinnovamento istituzionale e di risanamento economico almeno fino al punto di incrociare l’inizio di una ripresa economica e occupazionale. Tuttavia la tempesta è arrivata: e i venti di crisi soffiano impetuosi. Ma i motivi dell’eventuale crisi (è una grossa carta a favore di Letta) non dipenderanno così dalla mancata attuazione del programma di governo, ma dalle questioni giudiziarie che riguardano il leader del secondo partito della sua maggioranza.Il Pdl, almeno nella sua componente dei "falchi", aveva pensato a una diversa strategia: quella di logorare il governo alzando continuamente la posta con richieste popolari, come l’abbassamento delle tasse, ma difficili da esaudire. La rottura, insomma, sarebbe dovuta avvenire più in là su un motivo economico-fiscale, sul quale impostare la campagna elettorale e galvanizzare militanti ed elettori di centrodestra. Ma Letta ha capito che galleggiare per qualche mese ancora, senza produrre alcun buon risultato, non avrebbe avuto alcun senso, tranne quello di appannare la sua immagine di uomo di governo e fornire il destro ai suoi competitori all’interno del Pd (leggi Renzi) per additarlo come sottomesso ai capricci del centrodestra. E così, dopo aver ascoltato i consigli del capo dello Stato, Letta ha sparigliato. O, come direbbe Andrea Camilleri, ha fatto la «mossa del cavallo». Quella mossa a sorpresa che in una situazione di quasi stallo sulla scacchiera consente a chi l’ha fatta di scavalcare i pezzi dell’avversario e di sbloccare la partita a suo favore. Anche – a ben vedere – all’interno del Pd (e del suo elettorato, pregiudizialmente contrario alle larghe intese). Resta solo da capire come abbiano fatto uomini politici capaci e di grande esperienza, come ce ne sono al vertice del Pdl, a infilarsi in questo vicolo cieco. Ma è anche vero che oggi la politica è spesso più emotiva che razionale. E non è detto che dal centrodestra non possa uscire una contromossa. Ma, certo, servirà molta fantasia.