Analisi. L'esigente «lezione» sturziana su autonomie e federalismo
Da don Sturzo una visione antistatalista che aiuta a vedere il senso di una riforma in grado di favorire nuove aggregazioni Una sfida contro sovranismo e populismo
Per il centenario dell’Appello 'Ai liberi e forti' se ne sono lette di tutti i colori. Alcuni hanno persino parlato di uno Sturzo buonista, generico, astratto, persino 'clericale'. Voci che hanno annacquato il resto. Sicché, a dispetto dell’urgenza del momento, c’è anche il rischio di una memoria mal fatta, che sarebbe destinata a svanire senza lasciar traccia. Il rimedio c’è. Basta guardare alla attualità politica e su quella misurare se don Luigi Sturzo e il suo Appello hanno ancora la capacità di discernere e orientare a prender partito per qualcosa, e contro qualcos’altro. Sì: 'per' qualcosa e 'contro' qualcos’altro, perché se non si entra nel conflitto, si resta fuori dalla politica. Tra le priorità del momento sta certamente la proposta avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna di accedere alla autonomia differenziata come previsto dalla Costituzione italiana. Non si tratta di alcuna stravolgente riforma, ma di mettere a frutto potenzialità contenute nella Carta. La valanga di resistenze suscitate mostra bene la rilevanza della questione: se c’è conflitto, c’è realtà.
Allora la domanda è: Sturzo e il suo Appello del 1919 ci aiutano a riconoscere e a prender partito in questo conflitto politico? Sì senz’altro. Il realismo sturziano aiuta a non farsi paralizzare dal fatto che le proposte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono tutt’altro che perfette. Non c’è niente di più conservatore che attendere la perfezione. È sempre tra alternative imperfette che si deve scegliere, e poi lavorare a migliorare ciò che si è scelto. La visione antistatalista di Sturzo consente di vedere i vantaggi di un modello di ordine sociale non centrato sulla sola politica e di un modello di ordine politico non centrato su di un solo potere. Il federalismo, ovvero mantenere un certo grado di autonomia tra diverse funzioni della politica e tra diversi livelli, è regola chiave di una grammatica politica adeguata allo sviluppo di tutte le altre dimensioni della vita sociale: economia ('mercato'), religione ('libertà religiosa' e non laicità), scuola ('libertà educativa'), diritto (non ridotto alla legge), e così via. In una parola: o federalismo o sovranità centralista, o Repubblica o 'Stato': così Sturzo, ma così anche Einaudi e, soprattutto, la Costituzione italiana.
Il meridionalismo di Sturzo smaschera l’inganno secondo il quale queste autonomie differenziate sarebbero un progetto maligno del Nord dei 'ricchi' contro il Sud dei 'poveri'. Semmai è sotto il centralismo di questi ultimi decenni che il Sud si è di fatto impoverito (materialmente e civilmente), e ormai anche il Centro Italia. Questo centralismo si è limitato a fare le fortune di un ceto politico (e non solo) di intermediatori e di 'masanielli' che hanno ridotto a clienti tanta parte dei cittadini di due terzi della Penisola. Scriveva Sturzo che il federalismo (rendere più facile il controllo della relazione tra prelievo fiscale, amministrazione politica e comportamento elettorale) serve al Sud più ancora che al Nord: non minaccia la crescita del Meridione, ma ne è strumento indispensabile. Lo spiccato senso di Sturzo per la contingenza e la tattica politica consente, poi, di riconoscere che è su questo punto che bisogna battere per spaccare la tenaglia sovranista e populista che invece di salvare sta ulteriormente affossando l’Italia. Se al Dna rousseauiano dei 5stelle è connaturale il carattere sovranista e populista, appoggiando le ragioni del federalismo (che poi sono quelle della sussidiarietà) si possono mettere la Lega (che amministra Lombardia e Veneto) e il Pd (che amministra l’Emilia Romagna, che però potrebbe smottare verso i 5stelle) in contraddizione con se stessi.
Non sappiamo se sarà possibile spaccare questa tenaglia, ma per provarci è su cunei del genere che bisogna battere e questo vuol dire 'fare politica'. are politica significa anche non osteggiare a priori le proposte delle tre Regioni, ma migliorarle, renderle più coerenti ed efficaci, farne emergere la contraddizione con la linea del governo e della maggioranza di Roma (che di fatti le frena). Quelle proposte contengono ancora errori, ambiguità e nostalgie: uno per tutti – già ampiamente segnalato – quello relativo a efficaci e trasparenti politiche di perequazione che per la Costituzione non sono affatto in contraddizione con la messa a regime di un sistema di autonomie differenziate.
Così come le stesse proposte contengono un limite di fondo ancora non posto sufficientemente in evidenza: una prospettiva federale adeguata al momento presente deve vedere come protagonista le città e i grandi poli urbani (Milano in primis), altrimenti rischia di restituirci un sistema di ridicoli e dannosissimi microstatalismi regionali. Infine, il valore (non assoluto, ma importante) di un partito 'nazionale' coltivato da Sturzo ed espresso dall’Appello aiuta a capire che intorno a battaglie come questa oggi può aggregarsi una alleanza che unisce il Nord non statalista e quella parte di Centro e di Sud che non si rassegna ad esserlo, una alleanza per cui il futuro della Unione Europea dipende dalla fedeltà al programma delle origini: programma non statalista, ma federale; una alleanza che può diventare il naturale interlocutore di tanti interessi socio-economici, di tante città e tanti sindaci.
Alltri cattolici, sentiranno maggiore affinità con Giuseppe Dossetti o Giorgio La Pira o con altri. E allora? Non abbiamo forse metabolizzato grazie al Concilio che in materia politica vi è un grado incomprimibile di legittimo pluralismo tra credenti? E non sappiamo ormai bene che attendere di essere tutti è una scusa per non muoversi? O un trucco perché qualcuno si muova nell’ombra millantando mandati inesistenti? Eventualmente, sarà il combinarsi di alternative reali e circostanze concrete che fornirà ragioni, 'a termine' ma sincere, per un convergere politico che non potrà però mai essere premessa né precetto. Del resto, proprio questo, insieme ad altro, per Sturzo significava «partito non confessionale ».
Proprio questo stesso spirito «non confessionale» portò Alcide De Gasperi alla ricerca di alleanze con liberali e riformisti e a raccogliere una misura di consenso cui nessun altro si sarebbe più avvicinato. Questo spirito portò Sturzo e De Gasperi a contestare la cultura clericale e conservatrice del 'patto Gentiloni', a non fondare un circolo di 'indipendenti' disposti a tutto, e a riconoscere la funzione e il valore della organizzazione in politica. Sapevano entrambi, da cattolici, ciò che è vero anche oggi e che su queste pagine è stato ricordato da voci chiare e autorevoli: è all’apostolato dei laici che spetta di trattare delle cose del mondo, incluse quelle politiche.