Verso il quinto convegno della Chiesa italiana a Firenze. L’esame di coscienza da fare e la «patina» da rimuovere
L’anno del convegno coincide con il 50° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II e di quella costituzione, la Gaudium et Spes, alla quale non casualmente si fa ripetutamente riferimento; in questa ricorrenza, dunque, la comunità cristiana è invitata a misurarsi con quello che è l’interrogativo soggiacente al citato documento preparatorio: come evangelizzare nei nuovi scenari della società post-secolare? In vista di una risposta a questo serio interrogativo, il documento preparatorio offre una precisa linea di riflessione: la riscoperta e la riproposizione di quell’Umanesimo cristiano che proprio a Firenze ha avuto la sua culla e le cui radici autenticamente evangeliche sono state spesso intaccate, quando non addirittura recise, da una cultura illuministica che si è appropriata dell’umanesimo, riducendolo a una sola dimensione, quella terrena: quasi che la scoperta dell’uomo e dell’umano implicasse un allontanarsi da Dio e non rappresentasse invece una sollecitazione ad approfondire la conoscenza del volto stesso di Dio, auto-rivelatosi attraverso la Creazione.
Quale umanesimo, dunque, per il nostro tempo? È a questo interrogativo che il Comitato preparatorio del convegno ecclesiale invita a dare una risposta, attraverso un’attenta riflessione da condursi nelle chiese locali, prima di tutto nei 'luoghi' specificamente coinvolti in questo cammino, ma con una vasta apertura ai fermenti presenti nella società, soprattutto attraverso il dialogo con i non credenti, proprio a partire da quella «questione antropologica» (che cosa è l’uomo?) che rappresenterà il centro del cammino preparatorio al convegno di Firenze.
Fra le numerose e importanti indicazioni fornite al riguardo dal documento preparatorio vorrei qui raccoglierne soprattutto una: evitare «uno sguardo orientato solo al pessimismo, con cui si tende a mettere in evidenza quello che non funziona, ciò che si sta perdendo» (e qui non si può nascondere il senso di smarrimento e talvolta di frustrazione che pervade non poche comunità cristiane private dalla presenza costante sul territorio di presbiteri e religiosi, come se quello presbiterale fosse il solo ministero che ha corso in una Chiesa che dovrebbe essere tutta ministeriale).
Si tratta invece di attuare un’attenta opera di discernimento, di riprendere il metodo conciliare della lettura dei 'segni dei tempi', di cercare, e di sperimentare, nuove forme di presenza: in una parola di guardare avanti. Occorre rimuovere – come con felice espressione invita a fare il documento – «la patina ossidata che intacca la nostra speranza», riprendendo con slancio il cammino percorso dalle prime comunità cristiane, che certo non si trovavano a operare in un territorio più favorevole di quello dell’attuale Occidente. Rimuovere questa «patina» e recuperare il senso dell’«avventura cristiana» è il compito che attende la Chiesa italiana che si appresta a convenire a Firenze.