Opinioni

L’addio al Papa emerito. L'eloquenza delle mani

Pierangelo Sequeri venerdì 6 gennaio 2023

Non è il fantasma di un grande teologo che rimane sospeso sul nostro capo, quasi per prendersi la rivincita su di noi, come ha sospirato qualche incauto commentatore (magari di alto bordo ecclesiastico, ma di piccola statura ecclesiale). È la bianca figura di un grande teologo donato al ministero petrino, quella che rimane. Un ministero che il teologo Joseph Ratzinger ha personalmente onorato in favore della Chiesa per tutto il tempo della consegna ricevuta dal Signore. E che ha personalmente restituito alla Chiesa, nel tempo in cui il Signore l’ha ispirato a riconsegnarlo per il bene della Chiesa.

Misteriosa la consegna, non meno misterioso il congedo: lo Spirito di Dio sa quello che fa. Oseremo noi intrometterci, nella nostra sentenziosa estraneità, nel rapporto speciale fra il Signore e Pietro, che in ogni Papa si rinnova? Ora, «l’umile servitore della vigna del Signore» ha consegnato anche il suo spirito. E proprio di qui, giustamente, il papa Francesco, ha invitato ad aprire il cuore di tutti, nella meditazione evangelica e nella preghiera riconoscente. Come il Signore, la vita di quest’uomo di Dio fu «un continuo consegnarsi nelle mani del Padre». Non ci sono retroscena da evocare, più incisivi di questo. Non ci sono paragoni da eccitare, più pregnanti di questo.

«Dedizione grata di servizio al Signore e al suo Popolo che nasce dall’aver accolto un dono totalmente gratuito: “Tu mi appartieni... tu appartieni a loro”, sussurra il Signore». Questo è forse il passaggio più commovente – e commosso – dell’intensa omelia di Francesco nella Messa esequiale in piazza San Pietro.

L’immagine-chiave è quella delle mani. Francesco cita l’omelia pronunciata da Benedetto XVI nella Messa crismale del 2006, iscrivendo nell’immagine delle mani il suo speciale legame con il Signore: «Tu stai sotto la protezione delle mie mani, sotto la protezione del mio cuore. Rimani nel cavo delle mie mani e dammi le tue». L’eloquenza delle mani di Benedetto XVI è di dominio pubblico. Il suo modo di aprire e stringere le dita, con le braccia protese davanti a sé, così teneramente infantile, rimarrà nei nostri occhi. E chi l’ha conosciuto da vicino riconosce nella sua personale stretta di mano, che stringeva senza stringere, un delicato passaggio di benedizione e di rispetto, più che un saluto.

La benedizione della mano era il tocco leggero della dedizione del cuore. « Fecondità invisibile e inafferrabile – prosegue Francesco, citando 2 Tim 1, 12 – che nasce dal sapere in quali mani si è posta la fiducia». La dedizione, che mai si inorgoglisce del dono, rifiuta di requisirlo come privilegio personale e di convertirlo in prebenda clientelare. Una simile limpidezza interiore del cuore, unita al tratto di uno spirito gentile – commenta Francesco – espone alla stanchezza dell’intercessione, al logoramento dell’unzione: mette alla prova di una bontà che deve lottare con la malizia, e di una fraternità ferita dalla mancanza di dignità. La prova non fu risparmiata al Signore. Non verrà risparmiata ai suoi Discepoli. Pietro per primo. Il Signore provvede, generando la mitezza capace di capire, accogliere, sperare e affidarsi al di là delle incomprensioni.

E lo Spirito della ricerca appassionata e della gioiosa bellezza del Vangelo, ispira ogni volta la decisione opportuna, procura ogni volta la consolazione necessaria. Dovremo congedarci il più rapidamente possibile dall’aneddotica delle immagini di scena e delle indiscrezioni di retroscena. E incominciare a leggere e a rileggere il prodigioso lascito di testi nei quali il teologo Joseph Ratzinger ha finemente cesellato, in favore della fede e della testimonianza, la sapienza nella quale egli ha saputo filtrare come illuminazione e restituire in benedizione la sua lotta con l’Angelo. La profondità e la potenza della sua passione per l’intelligenza che orienta la fede ha occupato interamente anche il ministero del pontefice Benedetto XVI.

È questa la speciale qualità della sua eredità, destinata a durare nel tempo, come il tesoro dello scriba che si fa discepolo del regno di Dio: dal quale trarre con grata ammirazione cose antiche e cose nuove (Mt 13, 52). « Deus caritas est», ha scritto papa Benedetto. « L’amore non si perde», ha concluso papa Francesco. Nostro, rimane il lieto compito di essere «profumo della gratitudine e unguento della speranza», che conferma la preziosa eredità ricevuta. E così sia, « Benedetto, fedele amico dello Sposo».