Il 25 aprile di sessant'anni fa l'annuncio della scoperta del Dna. L’elica che ci sfida
I due studiosi del Cavendish Laboratory di Cambridge comunicarono al mondo scientifico la loro scoperta in poche righe, la cui precisione e concisione sorprende ancora oggi (solo 5.400 battute e un disegno), l’importanza straordinaria della quale non sfuggì poco dopo ai colleghi più attenti e curiosi e, successivamente, a tutti gli scienziati. Come riconosciuto dagli stessi autori nella chiusa dell’articolo, non si deve dimenticare l’apporto di altri due ricercatori, Maurice H.F. Wilkins (che condivise con Watson e Crick il Nobel nel 1962) e la giovane e brillante cristallografa Rosalind E. Franklin, morta a soli 37 anni per un carcinoma ovarico, probabile conseguenza della sua esposizione ai raggi X nel corso degli studi, e rimasta umilmente nell’ombra di questa scoperta.
Gli anniversari scientifici non sono solo un’occasione celebrativa ma offrono l’opportunità di riflettere sul significato di una scoperta o di un’invenzione, sull’impatto nella teoria e la tecnologia, come nelle implicazioni di tutto questo per la comprensione dell’uomo e del mondo, per le scelte con cui si confrontano la nostra libertà e la nostra coscienza, per la quotidianità della vita individuale e sociale. Una volta acquisite, l’intelligenza della realtà e l’abilità tecnica di intervenire su di essa non lasciano mai l’uomo come prima.
Il sapere e il saper fare cambiano lo sguardo sulla propria vita, su quella dell’altro e sulla società, offrono opportunità inedite di progettare e costruire, non solo di capire e di scalfire la realtà. Come aveva intuito Francesco Bacone, «la mano nuda e l’intelletto abbandonato a se stesso servono a poco. La scienza e la potenza umana coincidono» (Novum Organum, 1620). Il 'potere' che la conoscenza dell’architettura genetico-molecolare dei caratteri umani e dei processi fisiopatologici che presiedono al loro sviluppo e alla loro trasmissione ha messo nelle mani dell’uomo è enorme, inaudito, quanto imprevedibile e imprevista è stata la loro scoperta.
Non è solo il valore conoscitivo e la fecondità per gli sviluppi scientifici e tecnologici successivi dell’intuizione di Watson, Crick, Wilkins e Franklin a rendere degna di notorietà anche presso il pubblico dei non addetti ai lavori questa scoperta, ma lo sono anche (e, forse, soprattutto) le conseguenze che essa ha avuto e continua ad avere sulla 'autocomprensione genetica' dell’uomo e degli altri viventi (si pensi alla popolarità progressivamente guadagnata dal Dna come 'icona della vita'), le relazioni di consanguineità (i test di paternità e maternità sempre più richiesti) e le prove di colpevolezza (il ricorso alla genetica forense è in continua crescita). Sono però la ricerca biomedica e la pratica clinica da una parte, l’agronomia, la zootecnia e gli ecosistemi dall’altra, a manifestare con più imponenza quanto la scienza e la tecnologia del Dna abbiano avuto un influsso straordinariamente incisivo e pervasivo sullo studio e la manipolazione della vita umana, dell’animale e del vegetale.
La nostra libertà e la nostra responsabilità sono sfidate, come mai nella storia dell’umanità, dalle innumerevoli possibilità offerte dalla capacità di intervenire sulla sequenza del Dna per analizzarlo, selezionarlo o modificarlo, grazie alla conoscenza della sua struttura intuita per prima volta sessant’anni fa. Quando, in una sera primaverile del 1953, Francis Crick entrò nell’Eagle Pub di Cambridge gridando a tutti quelli che stavano sorseggiando un boccale di birra «abbiamo scoperto il segreto della vita!» non prevedeva certo tutto quello che sarebbe accaduto. Ma quell’urlo presagiva già la potenza della scoperta e le sue conseguenze per le generazioni successive.