10 febbraio. Vent'anni di provetta: perché la legge 40 non è cattolica, ma serve ancora
La legge 40 approvata dalla Camera in via definitiva il 10 febbraio 2004 segnò la fine del “far west procreativo"
Venti anni fa, il 10 febbraio 2004, con voto segreto la Camera dei Deputati approvò definitivamente la legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita: 277 i sì, 222 i no, 3 gli astenuti. Trasversalmente divisi i due schieramenti politici, soprattutto a sinistra. I contrari annunciarono subito un referendum, che si tenne l’anno dopo: il suo clamoroso fallimento consolidò la legge 40, modificata in modo significativo solo dopo 10 anni, nel 2014, quando la Corte Costituzionale ha reso legale la fecondazione assistita eterologa. Con gli altri interventi della Consulta la legge, pur azzoppata, ha mantenuto la sostanza del suo impianto.
Parlarne come di una “legge dei divieti”, “legge antiscientifica”, e via dicendo, nella stantìa escalation di espressioni dispregiative fra le quali l’immancabile “legge medievale” (come titolò in prima pagina l’Unità dopo l’approvazione) significa non averne capito il significato: la legge 40 è la dimostrazione concreta che il mutamento antropologico che stiamo attraversando non era inevitabile, che i cosiddetti nuovi diritti non sono una necessità ineludibile, in altre parole che l’eccezione italiana esisteva e non significava necessariamente guardare al passato, ma era in grado di attraversare la modernità, tracciando nuove strade.
Con quella legge, infatti, non si nega la possibilità di accesso alle nuove tecnologie biomediche in ambito riproduttivo ma, nella sua versione originale, le si inseriva in un modello antropologico ben preciso: la procreazione naturale e i legami parentali che ne derivano.
Con la legge 40 possono infatti accedere alla procreazione assistita un uomo e una donna che sono in relazione, cioè sposati o conviventi, entrambi in età fertile, che non riescono ad avere i figli desiderati per vie naturali. Quindi non una scelta procreativa per tutti, ma una opportunità offerta dallo sviluppo tecnologico alle coppie infertili, per cercare di metterle nelle stesse condizioni di quelle fertili. E c’è un particolare lessicale che svela la forza e l’originalità di questa legge: nel testo si usano le espressioni “fecondazione omologa” ed “eterologa”, intendendo con la prima la fecondazione con gameti appartenenti alla coppia che vuole avere figli e con la seconda quella che invece fa uso di gameti esterni. Il testo non contiene le parole “donazione” o “donatore”. Nelle normative europee invece compare un’espressione differente: “partner donation” e “non partner donation”: si distingue, cioè, la donazione di gameti da parte del partner (fecondazione omologa) da quella da persona diversa dal partner (fecondazione eterologa). La differenza è sostanziale.
Nella normativa europea la fecondazione assistita è vista come un atto individuale di cessione di gameti: una persona, per diventare genitore, può scegliere il percorso biologico utilizzando i gameti del partner o di un terzo; nella legge italiana, invece, si fa riferimento ad una coppia uomo-donna, ed è rispetto ad essa che si definiscono i percorsi tecnici.
La legge 40, in sintesi, è intrinsecamente estranea all’idea della fecondazione assistita come diritto individuale, perché si sviluppa intorno alla relazione fra un uomo e una donna che insieme desiderano un figlio, e che si rivolgono alle tecniche solo quando non riescono ad averlo per vie naturali, seguendo quindi criteri di appropriatezza clinica. Tutto il resto è una conseguenza: ripercorrendo gli articoli della legge se ne può verificare la piena coerenza con il paradigma della procreazione naturale, con il solo concepimento affidato al laboratorio.
E infatti la fecondazione eterologa non c’era nel testo iniziale, perché quando una coppia decide di avere un figlio per vie naturali non cerca una terza persona; né era possibile selezionare gli embrioni prodotti per scegliere quali trasferire in utero e quali scartare, perché una coppia non può decidere “di chi” essere genitore, non si può dire “tu sì, tu no” rispetto a più embrioni già esistenti. Si può invece abortire, perché è possibile decidere “se” essere genitori, cioè interrompere volontariamente la singola gravidanza, secondo la legge italiana e, in generale, dal punto di vista tecnico, da tanto tempo. La 40, infatti, non è una legge cattolica. Se lo fosse, avrebbe un solo articolo: è vietata qualsiasi forma di fecondazione assistita.
Non potendo selezionare gli embrioni umani “migliori” non se ne potevano formare in più rispetto a quelli da trasferire, e tantomeno congelarli in serie o distruggerli per esperimenti di laboratorio, e quest’ultima disposizione, contrariamente a quanto contestato dai detrattori della legge, non ostacola la ricerca scientifica: ricordiamo il Nobel per la Medicina 20212 allo scienziato giapponese Shinya Yamanaka, per le sue cellule staminali “etiche”, le iPS, trovate e prodotte senza distruggere embrioni umani, mentre invece sappiamo che la più grande frode scientifica del secolo è stata quella del veterinario coreano Hwang Woo-suk, che aveva millantato di essere riuscito a clonare cellule staminali embrionali umane per avere miracolose cure di malattie mortali. Il veterinario è stato condannato alla galera dai tribunali coreani; per quanto riguarda le cure con le staminali embrionali, invece, stiamo ancora aspettando.
Infine, la legge 40 non consente l’utero in affitto perché una donna, da sempre, non può partorire un figlio non suo. L’ingresso della fecondazione eterologa operato dalla Corte costituzionale ha aperto una breccia nel paradigma antropologico naturale, portando a una frammentazione della maternità: ci può essere una madre genetica “donatrice” che rinuncia al figlio, diversa dalla gestante che ne resta la madre legale. Ma finché l’accesso alle tecniche resta alla coppia uomo-donna, seguendo criteri clinici, l’impianto complessivo della legge continua a reggere, e potrà essere irrobustito nel nuovo anno appena iniziato, al ventesimo compleanno della legge 40, quando il Parlamento renderà l’utero in affitto un reato perseguibile anche se praticato all’estero.