Bisognerà proprio che Enrico Letta rinunci almeno per un po’ ai viaggi al di là dell’Atlantico. Ogni volta che lascia Roma a quella volta, sul suo «governo di servizio» – reso possibile da una coalizione obbligata e, dunque, così "larga" da risultare un po’ troppo spesso slabbrata – si abbattono i fulmini e le saette di chi ufficialmente lo sostiene. E poco importa che dall’America arrivino, in contemporanea, segnali di forte incoraggiamento per l’opera difficile e utile nella quale il premier e i suoi ministri tricolori sono impegnati. Azione perfettibile, certo. Come perfettibile è l’appena varata legge di stabilità, che stavolta più di altre volte è presentata (lo fa lo stesso governo) come «migliorabile» in dialogo con le Camere e con le forze sociali. Ma la confusione è grande, l’aria è di tempesta. C’è da augurarsi che tutti, soprattutto il Parlamento, siano all’altezza dei propri doveri riformatori e del bisogno di lavoro e di fiducia degli italiani. E c’è da lavorare perché la somma dei diversi risentimenti di fazione (in Pd e Pdl) e di alcuni deludenti atteggiamenti da solista (come quello con cui Mario Monti, due anni dopo, rischia di smentire stile e fors’anche sostanza di un impegno a lungo esemplare) non facciano danni seri e persino irreparabili. Ci si vergogna quasi a dirlo, tanto è scontato, ma è mille volte meglio una manovra prudente e seria, delle rovinose manovre che purtroppo già si tornano a intravvedere.