Intervento. Le radici della crisi dell'islam tra jihadismo e islamofobia
Un periodo di crisi
Gentile direttore, intriso di ferocia e simbolismo, l’assassinio del professore francese di storia Samuel Paty si è aggiunto a una serie di operazioni terroristiche commesse negli ultimi anni da giovani musulmani, francesi o residenti in Francia, che esacerbano gli animi tanto da annullare per giorni o settimane la possibilità di intavolare un discorso logico o rendere impossibile (o quasi) il dibattito su qualsiasi cosa sia connessa all’islam.
In qualità di laico-democratici, discendenti mediorientali di un patrimonio di cui l’islam è una fonte fondamentale, tutto ciò ci spinge ad affermare in primis che la comunicazione tra le diversità e la spinosa trattazione di questioni complesse è ciò che può frantumare la militarizzazione del pensiero e della cultura verso cui i nichilisti islamisti, come l’assassino Abdallah Anzorov, ci muovono. Personaggi di tale calibro stanno bene quanto più riescono a scavare fossati profondi tra le comunità musulmane e il mondo intorno a loro. Ci spinge poi a dire che tale militarismo non si limita ai nichilisti islamisti poiché molti estremisti in Occidente si compiacciono a loro volta nel tracciare solchi e vivere in fortezze senza preoccuparsi di quel che accade fuori e nelle periferie.
L'odio per il mondo e i valori di giustizia, tolleranza, libertà e uguaglianza è in costante crescita e diffusione nei circoli musulmani, ma anche in Europa, Usa, Russia, India, Cina o Brasile. Questo quando la creazione di una «comunità globale solidale » sarebbe la soluzione migliore per affrontare le questioni che non hanno soluzioni a livello locale quali ambiente, cambiamenti climatici, epidemie, fame e migrazioni. Il mondo attuale, plurale eppure unico, è in profonda crisi e la mancanza di prospettiva va ad inficiare i legami delle sue componenti.
I musulmani e il loro credo, che lo vogliano o meno, fanno parte di questo mondo così come il resto del mondo è presente in loro. Emmanuel Macron non sbaglia nel dire che l’islam è in crisi, molti intellettuali di estrazione islamica lo ripetono da tempo. Macron, però, non ha detto che la crisi dell’islam, rappresentata principalmente dall’incremento del jihadismo nichilista, diventa più pericolosa quanto più nel mondo si sviluppano xenofobia e populismi islamofobici.
Il fatto stesso che Paty insegnasse storia ci porta a riflettere sulle origini del nichilismo islamista responsabile del suo assassinio. Di fatto, il jihadismo è nato nei primi anni 80 del Novecento nel povero Afghanistan, appena invaso, che gli Usa vollero trasformare in un equivalente del Vietnam per l’Urss. Al tempo, servizi segreti americani e pachistani, di concerto col wahhabismo e grazie ai soldi sauditi, mo- bilizzarono e prepararono alla violenza migliaia di giovani.
In contemporanea, la Repubblica Islamica Iraniana, prodotto della rivoluzione del 1979, iniziava ad esportare la propria ideologia verso le nazioni confinanti puntando sulla comunità sciita che si sentiva in pericolo. Scontrandosi coi nemici regionali e internazionali, ha così promosso l’ascesa di un neo-salafismo sunnita e sciita altrettanto radicali.
Nel 2003, l’occupazione americana dell’Iraq, sotto falsi pretesti, ha dato terreno fertile alla rinascita di nichilismo e jihad in un Paese in cui infrastrutture e tessuto sociale erano già stati distrutti dal dispotismo di Saddam Hussein. Un decennio dopo, la situazione si è aggravata grazie al regime di Assad che, con l’aiuto russo- iraniano e la nascita del Daesh-Isis, ha distrutto la società siriana.
Il nichilismo islamista, politico o militare, riappare ogni volta che i regimi politici si chiudono e le comunità vengono depredate di politica e autodeterminazione. Se, secondo Marx, la religione è «l’anima di società senz’anima», nei contesti islamici contemporanei essa è la «politica di società senza politica». In pratica, l’impoverimento politico e la violenza contro i civili vanno di pari passo col nichilismo. Di contro, cittadini in possesso di diritti politici, di organizzazione, di parola e protesta sono l’antidoto più efficace.
In Medio Oriente succede l’esatto contrario. Dagli anni 90, e ancor di più dopo l’11 settembre 2001, le potenze mondiali hanno fatto del “terrorismo islamico” il male assoluto conducendo al concetto di sicurezza politica mondiale e facendo affidamento su regimi terroristici dittatoriali. Ed ecco oggi il frutto di tutto questo: dopo due decenni di guerra al terrorismo, il mon- do è meno sicuro, l’odio si è radicato e per questa guerra nessun tribunale, locale o internazionale, è stato istituito per le vittime afghane, siriane, irachene, ecc. La giustizia si è limitata a poche vittime internazionali e prende spesso le fattezze di operazioni vendicative di commando, aerei da combattimento o droni in cui il contendente è anche il giudice.
In effetti, quella contro il terrorismo non è soltanto una guerra, è una tortura. Quindi, non c’è da sorprendersi se lo Stato della tortura di Bashar al-Assad sia considerato un “partner”, al pari di quello di Abdel Fattah al-Sisi, o che il governo del Myanmar sia sceso in campo per sterminare i musulmani rohingya, insieme al governo settario indiano di Modi, o che la Cina abbia ammassato un milione di musulmani in campi di riabilitazione che ricordano la tradizione stalinista, che vecchi “terroristi” si siano riabilitati impegnandosi in questa guerra, o che l’occupazione colonialista e il regime attuato nei territori palestinesi abbiano utilizzato lo slogan della lotta al terrorismo per giustificare le proprie pratiche. Assassini, corrotti e aggressori non esistono più se sono alleati dell’Occidente nella sua pretestuosa guerra al terrorismo, finché ci si limita al terrorismo islamico.
Nel mondo d’oggi, esiste quindi una questione islamica più grande con due sfaccettature: il nichilismo islamico, che ha innalzato l’asticella della crudeltà nelle società musulmane oppresse e nel mondo, e il razzismo anti-musulmano a vari livelli. Chi tiene le redini di un mondo senza prospettive e disorientato non può guardare a una di queste sfaccettature e ignorare l’altra, così come fanno i nichilisti islamisti. L’islamofobia, o il razzismo anti-musulmano, basato su una lunga storia di conquista e colonialismo, non possono essere utilizzati come base contro il nichilismo islamico. Quest’ultimo è essenzialmente elitario e non rappresenta la linea di condotta della maggioranza dei credenti; infatti, i nichilisti islamisti si sentono a proprio agio in un’atmosfera di discriminazione contro i musulmani, hanno bisogno di un sentimento di ingiustizia perché non hanno niente di positivo da dare la mondo.
Non è troppo tardi per una riflessione più accurata e chiara che presenti la questione islamica e la crisi dell’islam come uno dei volti di una crisi globale che può solo peggiorare se non è affrontata. Chiediamo ai nostri colleghi e amici in Italia, in Europa e in Occidente e nel mondo, di pensare a sviluppare un principio di responsabilità internazionale capace di limitare il razzismo e le rivendicazioni di superiorità etnica o religiosa. Non vogliamo essere di cattivo auspicio né annunciatori di rovina, ma tutti i pericoli che assediano il mondo intero non ci fanno escludere il peggio pur sperando di poterli evitare. Il peggio non avvisa prima di arrivare.
Ziad Majed insegna relazioni internazionali all’American University di Parigi. I suoi studi e articoli sulla democrazia e le problematiche connesse alle società arabe sono pubblicati di solito da International Idea e altri. Ha fondato con Samir Kassir e Elias Khoury il Movimento della Sinistra Democratica a Beirut. Nel 2007 con altri ricercatori di tutti i Paesi arabi ha fondato l’Arab Network for Studies on Democracy. Farouk Mardam-Bey insignito della Legion d’Onore a Parigi nel 2018, è considerato tra i più autorevoli intellettuali arabi. Dirige la parigina Biblioteca dell’Istituto del mondo arabo e, sempre da Parigi, la casa editrice Actes Sud. Jassin al-Haj Saleh ha trascorso circa 20 anni in prigione in Siria come dissidente politico. Ha vinto il Prince Claus Award per l’alto contributo intellettuale e morale al popolo siriano. È tra i testimonial di Human Rights Watch. Tra i suoi libri “Siria, la rivoluzione impossibile”. Attualmente è membro del Berlin Institute for Advanced Study.