Il quadro autodistruttivo. Le opere di Banksy e il labile confine fra genio e idiozia
Il quadro autodistrutto rivalutato e l’emulatore impoverito Scena n. 1: Sala delle aste di Sotheby’s, Londra. Una famosa opera di Banksy, “La ragazza con il palloncino”, viene battuta per un milione di sterline. Il nuovo proprietario non ha neanche il tempo di mandare un sms alla sua fidanzata per avvisare di far spazio sopra il divano, quando magicamente la tela scivola dalla cornice e passa attraverso un distruggi-documenti che la taglia a fettine.
Ci pensa lo stesso Banksy, artista che peraltro mai nessuno ha visto in faccia, a informarci (naturalmente con un video postato su Instagram che riceve 10 milioni di like) di aver nascosto il tritadocumenti nella cornice proprio per il caso in cui l’opera fosse andata all’asta. Citando Picasso, dice: “Anche l’urgenza di distruggere è un’urgenza creativa”.
Si iniziano a intrecciare mille ipotesi: Banksy era in sala? Chi ha schiacciato il tasto per l’autodistruzione? Era lui colui che si vede filmare la scena indossando degli occhiali scuri? Perché un’opera dovrebbe autodistruggersi nel momento in cui raggiunge la quotazione più alta mai registrata per quell’artista? L’arte deve appartenere solo a se stessa? Distruggere un’opera d’arte è prerogativa di chi l’ha creata? Insomma, se ne parla per tre giorni. Se ne parla così tanto che, tre giorni dopo, eccoci qua.
Scena n. 2: Tinello di un anonimo che ha appena comprato una delle 600 copie originali esistenti dello stesso dipinto di Banksy, per 40.000 sterline. Il nostro eroe, munito di taglierino, tagliuzza la sua copia dell’opera proprio come ha visto succedere da Sotheby’s. Il suo obiettivo è rivenderla, almeno, al doppio del prezzo. Sembra di poter vedere i suoi occhi scintillanti mentre fa un bel lavoretto, artigianale. Tagliata l’ultima strisciolina telefona a Sotheby’s e offre il prodotto della sua intuizione.
Si sente dare del vandalo (in fondo di copie originali dell’opera ce ne sono solo 600, anzi adesso 599) e, soprattutto, registra suo malgrado che l’opera in quelle condizioni, più o meno, vale una sterlina. Tentiamo una riflessione su questi due momenti che risuonano di una certa simmetria, con la premessa che sia nell’una che nell’altra storia potrebbero esserci balle colossali, micro-porzioni di verità assunte a verità assoluta, misteri, mille cose da verificare e mille domande dalle quali aspettarsi una risposta. Al netto di tutto rimangono due riflessioni.
La prima è la velocità con cui queste notizie si sono diffuse, diventando virali. L’agilità con cui si sono scansate da ogni verifica, con cui hanno saltato a piè pari tutti i passaggi tradizionali di controllo. Il modo in cui hanno fatto fuori tutti i mediatori (esperti e critici d’arte, commentatori, battitori d’asta, acquirenti, filosofi o tuttologi). L’unico commento, tutt’altro che banale, arriva (scena n.1) dal Direttore di Sotheby’s che dice: “Siamo stati Banksyzzati”. La seconda è la sensazione che queste due storie abbiamo molto da dire del mondo che viviamo. Da una parte una élite (sì, fatevene una ragione, l’età dell’uno-vale-uno sta partorendo una nuova aristocrazia) che inventa regole e gesti. Dall’altra qualcuno che pensa che ripetere le stesse regole e gli stessi gesti su copie dell’originale sia garanzia dello stesso successo. Purtroppo, al contrario, altro non è che rappresentazione concreta dal labile confine che passa fra il genio e l’idiozia.