Migrazioni. Non sono un problema, ma un fatto
La realtà è complessa e non permette soluzioni lineari. La natura dell’esistenza e della storia non è lineare. In un epoca in cui si è capito che matematica, fisica e le scienze in generale sono campi in cui è praticamente impossibile individuare soluzioni definite per sempre, in cui il punto si rivela come area di probabilità più che un punto, ci si ostina a credere che sia possibile una soluzione lineare, euclidea, a uno degli eventi più complessi e tragici della storia umana: le migrazioni. Si chiude di qua, si apre di là, ci si accorda a tavolino sui numeri, si determina la convenienza e i ritorni oppure i danni presunti per fare una specie di conto della spesa come fosse un 3x2. Si propone una soluzione semplice a un tema complesso.
Contraddizione evidente. Sono convinto anch’io non vi sia una vera soluzione al problema delle migrazioni. Semplicemente perché le migrazioni non sono un problema: sono un fatto. Imprescindibile e impossibile da cancellare. Qualunque cosa si faccia, la migrazione è parte della storia come il sangue è parte dell’uomo. La volontà di negarlo, di tirare una riga oltre la quale non sarà più così è antistorica e antiumana. E anche sostanzialmente inutile. Tutte le volte che nella storia qualcuno ha voluto razionalizzare la complessa e contraddittoria essenza della umanità ha creato distopie mostruose.
Mostruose perché scavalcano l’unico vero dato di fatto: l’uomo. La sua esistenza, la relazione, la preziosità e unicità della sua vita vengono accorpate in un unico conglomerato di danni collaterali, quasi fosse un rifiuto da avviare al compattatore. È evidente che in questo caso per una impressionante quantità di individui quel compattatore di comodo è il mare. Distante, senza necessità di avvio, digerisce tutti quelli che vengono considerati problemi esterni e non graditi, un impiccio alla propria visione con i paraocchi della storia. L’eugenetica è il tentativo di eliminare la realtà costituente l’essere umano.
La diversità, la complessità. In nome di un unico punto di vista che si considera normalità, o a seconda dei casi perfezione. È chiaro quale sia la irrimediabile disumanità di questo approccio. Eppure la tentazione ritorna sotto varie forme. Chiunque elabori una soluzione lineare a un problema umano, tutto ha a cuore tranne che l’uomo stesso.
Non vi è soluzione una volta per tutte e il prezzo della sofferenza di uno non è secondo a quella di cento. Si dirà che allora non c’è soluzione. Infatti non c’è soluzione. Ma c’è una speranza. Che si rinunci a tirare una riga sopra gli esseri umani come se fossero numeri con cui giocare, rifiuti da avviare al compattatore, sia pur naturale, su cui fare esercizi di strategia o esibizioni di cinismo chirurgico, di una chirurgia che uccide perché priva del minimo abbozzo di empatia.
Puoi essere lo Stato, puoi essere un ministro, puoi essere chi ti pare ma non vi è alcun diritto a giocare con le vite degli altri, per nessuno. In Libia, in Turchia, a Siracusa, ovunque. Non vi è alcuna possibilità che la megalomania del potere, qualunque esso sia, ti dia la capacità di piallare la storia che anzi, più si tenta di privare delle asperità, più torna con violenza a chiedere il conto.
L’idea di creare ordine nella storia è alla base di follie come quella dei khmer rossi di Pol Pot. Per una società nuova si fanno fuori tutti gli altri. E così per le migrazioni. Per una società autonominata con un termine grottesco 'sovrana' (di cosa?) tentiamo di tagliare fuori il flusso che la storia muove da quando esiste l’umanità, chiamando a complice il mare e lasciando fare a lui. Il prezzo è mostruoso. E non lo si avverte perché lontani del problema, tutti chini sulle tastiere a scrivere idiozie social più o meno aberranti e a elaborare strategie che definire di fantapolitica è un complimento. Nel migliore dei casi a farsi pubblicità da pulpiti la cui credibilità è pari a zero. Si deve accogliere con coscienza.
Certo. Si deve fare guerra (e sarebbe ora!) ai trafficanti di esseri umani. Vero. Si deve evitare di creare altro disagio sociale. Vero. Ma se uno ti chiede aiuto perché se la gioca con una morte orribile, hai il dovere di aiutarlo. Se invece giri la testa e fai della bellezza del Mediterraneo il tuo sicario solerte e implacabile, dichiari ciò che sei e qualunque società invochi è destinata a scomparire nello stesso mare che hai chiamato un giorno a fare il lavoro sporco.