Opinioni

Vite donate. Le "mie" suore anziane: a servizio di tutti e ora minacciate dal virus

Maurizio Patriciello giovedì 23 aprile 2020

Silenziose, umili, discrete, passano facendo il bene. Tra le loro tante missioni, c’è quella parrocchiale: catechismo, carità, liturgia, campi scuola, visite alle famiglie. I fedeli le chiamano per nome, le apprezzano, le amano. Parlo delle suore, in Italia e nel mondo. Come gli uccelli migratori, sono pronte a lasciare il nido per dileguarsi quando l’obbedienza le chiama altrove. In alcuni luoghi, però, soprattutto a una certa età, ci lasciano il cuore. Le “mie” prime suore erano spagnole. Santa Candida Maria di Gesù, una donna basca che bene aveva compreso l’importanza della cultura e della catechesi, volle che in particolare questi fossero i campi d’ azione della congregazione da lei fondata.

Povere, hanno servito e amato i nostri poveri facendosi con loro una cosa sola. Gli anni passarono e venne il tempo dell’addio. Una dopo l’altra Lucia, Trinità, Consuelo, Faustina, Celia, furono richiamate in patria. Donne forti, avvezze a risolvere problemi, a correre in aiuto, soffrirono tanto al momento di lasciare l’Italia e la parrocchia. Ci salutammo con le lacrime agli occhi e un nodo alla gola che impediva alla parola di farsi voce. Promettemmo di rivederci, saremmo andati a trovarle in Spagna; promessa che fino a oggi non abbiamo saputo mantenere.

Una suora in preghiera in piazza San Pietro - Ansa

Dalle Case di riposo e di preghiera in Spagna, dove alcune di esse ancora vivono, le “nostre” care suore continuano a seguire la vita della “loro” parrocchia e delle consorelle giovani.

Anche le suore, soprattutto le suore anziane, dappertutto, stanno pagando il pedaggio all’invisibile nemico che tanto ci spaventa, il coronavirus. Nelle case di riposo tutto diventa più complicato, soprattutto per chi non è più autosufficiente. Un pensiero grato e affettuoso a tutte le suore si sprigiona dal cuore dei vescovi, dei parroci, dei fedeli. Un pensiero che, oggi, ci fa soffrire per la sorte delle suore che vivono nelle case di riposo. Il tempo anomalo che stiamo subendo deve essere tenuto sotto stretto controllo se non vogliamo che detti leggi devastanti. La pandemia ha portato alla luce, non solo in Italia, tante criticità e deficienze da tanti punti di vista, soprattutto quello sanitario ed economico. Ci siamo ritrovati a fare i conti con delle emergenze che nessuno aveva preso in considerazione; per questo motivo occorre che tutti, a ogni livello e secondo le proprie competenze, diano il meglio di se stessi. Per evitare che si creino disumane voragini nel tessuto civile e nei cuori della gente, occorre pensare al bene dell’intera umanità e non solo del proprio Paese; al bene di tutti i cittadini e non del partito di appartenenza. Occorre che nessuno venga scartato dalla lista degli aventi diritto alle cure sanitarie. I nostri cari anziani sono impauriti dal fatto di non poter essere curati nel momento del bisogno.

Leggo che una circolare del governo catalano esorta a non ricoverare le persone dopo gli 80 anni. Le “mie” suore, ritornate in Spagna, hanno tutte superato quest’età. Queste donne che portano scolpiti nei loro occhi e nei loro animi le brutalità della guerra civile spagnola – tante di loro furono battezzate clandestinamente in casa – dopo un’ intera vita passata a servire il prossimo e a seminare pace, dovrebbero sentirsi oggi un peso per la società? Loro, ne sono certo, sarebbero le prime a cedere un eventuale posto letto d’ ospedale a un fratello o a una sorella giovani. Un atto di altruismo però non è da confondere con una rinuncia forzata. Non deve accadere. Se è vero che, come ha detto il Papa, "in questa barca ci siamo tutti", tutti abbiamo il diritto di resistere, impegnarci e pregare che la tempesta passi presto. A tutti devono essere date le stesse opportunità di guarire da un eventuale contagio. Anche ai vecchi. Anche alle suore.

Anche alle “mie” suore