Opinioni

Editoriale. Le improponibili deportazioni promesse da Trump

Massimo Ambrosini mercoledì 13 novembre 2024

Donald Trump, a quanto trapela, non perde tempo nel concretizzare le sue promesse elettorali. Tra queste, si profila l’impiego di risorse del Pentagono, dunque in teoria destinate alla difesa, per realizzare il progetto di deportare tutti gli immigrati che vivono e lavorano degli Stati Uniti senza autorizzazione. Il neoeletto presidente ha alzato la posta: non ha soltanto rilanciato l’idea di completare il lungo muro con il Messico, ma intende anche sradicare ed espellere persone che si sono insediate negli Stati Uniti da molti anni, hanno trovato occupazione, pagato le tasse, costituito delle famiglie, a volte avviato delle imprese o intrapreso studi universitari. Anche negli Usa per tutti i reati ci sono norme di prescrizione, ma non per l’immigrazione irregolare: è una colpa incancellabile.
Il primo banco di prova per un programma di questo genere riguarda la fattibilità, come ha ricordato Elena Molinari su questo giornale. Stiamo parlando di una popolazione stimata in 10,9 milioni di persone nel 2022. Più degli abitanti della Lombardia e di diversi Stati Usa. Già si parla infatti di campi di detenzione dove rinchiuderli, in vista della deportazione. Ma con una popolazione di quelle dimensioni, la presidenza Trump dovrà predisporre strutture enormi, con tutti i costi relativi. Tra i candidati all’espulsione figurano anche molti minorenni e molti genitori di figli che, essendo nati sul territorio nazionale, per legge sono cittadini statunitensi. I genitori saranno posti di fronte al disumano dilemma tra lasciare i figli negli Stati Uniti, detenuti in condizioni deprecabili, e portarli con sé, in paesi di origine che non conoscono, dopo aver iniziato un percorso educativo nel paese in cui sono nati. L’eventualità di permessi per cure genitoriali è esclusa dall’ideologia della destra intransigente, che ha già coniato un termine per screditare ogni concessione umanitaria: parla di “bambini-paracadute”, intendendo che i genitori mettono appositamente al mondo dei figli per potersi insediare negli Stati Uniti approfittando dei diritti genitoriali. Una linea di tolleranza zero è confermata indirettamente dalla notizia che il responsabile del programma di deportazione dovrebbe essere Tom Homan, regista della separazione dei bambini dai genitori sotto la precedente presidenza Trump.
Problemi più consistenti potrebbero essere frapposti al programma trumpiano dagli interessi economici. L’argomento è intriso di cinismo, ma non facilmente aggirabile. Importanti settori economici, come l’agricoltura californiana, dipendono largamente dal lavoro degli immigrati irregolari: in quel caso, si stima, garantiscono più della metà delle giornate di lavoro. Lo stesso discorso vale per le famiglie e i servizi domestici, o per l’edilizia e i servizi alberghieri. Trump presumibilmente offrirà ai datori di lavoro più ingressi regolari, come aveva già fatto a suo tempo. Ma la sostituzione, ammesso che avvenga, non sarà né semplice né immediata. Rimpiazzare dei lavoratori già sperimentati, socializzati al lavoro, abituati ai ritmi e alle regole, con altri neoarrivati e inesperti, è un’impresa impegnativa, prolungata, e tutta a carico dei datori di lavoro.
Lo scenario più attendibile è quindi quello di un’operazione simile a varie altre messe in campo dalla politica sovranista, compreso l’accordo Italia-Albania: Trump prenderà qualche iniziativa clamorosa, rinchiuderà delle famiglie in qualche struttura detentiva, separerà i bambini dai genitori, deporterà qualche migliaio di malcapitati, magari residenti negli Stati Uniti da molti anni, rovinando la vita di persone spedite dopo anni in Paesi insicuri e impoveriti con cui non hanno più legami. L’impatto mediatico sarà notevole, e si leveranno proteste. Ma anche le proteste faranno il gioco di Trump: daranno all’opinione pubblica l’impressione che il presidente tira dritto, e attua il suo programma inflessibilmente. L’immigrazione irregolare non scomparirà affatto, dovrà nascondersi di più e vivere nella paura. Ma non verrà di certo a mancare ai datori di lavoro che la sfruttano.