Privatizzazioni. Le imprese pubbliche italiane nel mercato ma senza strategie
Alcune delle imprese con capitale pubblico più importanti sono attive nel settore della produzione di energia
Il sistema complessivo dell’Unione Europea e degli Stati membri vive una fase di transizione confusa. Da un lato sono gli Stati membri a dover soddisfare gli interessi che gli ordinamenti qualificano “a soddisfazione necessaria”, ed è la stessa Unione che impone agli Stati di farlo, dall’altro la Ue deve realizzare l’obiettivo del mercato comune, premessa indispensabile per costruire anche l’unità politica e istituzionale. Questo obiettivo comporta una serie di corollari e presenta non pochi problemi. Fra i corollari v’è quello per cui gli Stati non possono sottrarre arbitrariamente alla concorrenza, e quindi al mercato comune, singole imprese, e tanto meno interi settori di attività economica, come si otterrebbe attraverso la nazionalizzazione di imprese e la formazione di enti e imprese pubbliche. Non possono inoltre aiutare le imprese nazionali con misure che le favoriscano rispetto alle imprese degli altri Paesi europei. Di qui la conseguenza che le imprese pubbliche dovrebbero comportarsi come quelle private e che sono vietati gli aiuti alle imprese, pubbliche e private che falsino la concorrenza.
I problemi sono di diverso tipo. Anzitutto l’assunto che l’impresa pubblica debba comportarsi come quella privata è una contraddizione in termini: non si capisce perché debba essere pubblica se non con finalità ulteriori, di interesse pubblico, rispetto alle imprese private, e non possa quindi disporre degli strumenti per perseguirli. Inoltre si è verificato in vari settori, e in particolare in quello elettrico, che il semplice ricorso al mercato non riesce a soddisfare gli obiettivi di servizio pubblico inerenti al settore. Il quadro normativo contiene quindi una serie di incertezze che hanno favorito applicazioni differenziate da parte dei singoli Stati, e, poiché la concorrenza, oltre che essere tra imprese, è anche fra Paesi, l’effetto è stato che alcuni ne sono stati favoriti o sfavoriti rispetto agli altri. L’Italia è stata fra i Paesi più zelanti nel procedere alle privatizzazioni e nel privare le imprese pubbliche degli strumenti che avevano a disposizione. Per averne una rappresentazione corretta va tenuto presente che i modi con i quali uno Stato può aiutare o meno le imprese pubbliche non sono solo quelli di carattere finanziario, consistenti nella erogazione di sussidi, ma derivano dall’insieme del quadro normativo che le riguarda: se ad esempio possano avere affidamenti diretti o debbano acquisire la gestione di attività o servizi attraverso gare con gli altri operatori; se debbano a loro volta effettuare gare quando agiscono nel mercato o possano prescindere da questo vincolo; se gli amministratori siano o no soggetti a responsabilità amministrative, oltre a quelle civili e penali.
In Italia – salvo che, per ora, nei servizi pubblici locali – si è proceduto alle privatizzazioni senza un disegno strategico che, invece, altri Paesi hanno mantenuto. Perfino una quota della Cassa Depositi e Prestiti non è dello Stato, a differenza delle altre istituzioni analoghe in Francia, Germania e Spagna. Le grandi società economiche nazionali mantengono una quota di capitale pubblico che ne assicura con difficoltà il controllo (30,6% Eni, 23,6% Enel), a fronte, ad esempio, di Electricitè de France nella quale lo Stato mantiene l’84,4% del capitale. L’Autorità garante della concorrenza italiana, oltre a richiedere – peraltro inutilmente – anche la privatizzazione di Poste e Ferrovie (si è discusso perfino se la proprietà della rete ferroviaria dovesse restare allo Stato), ha impedito alla Aem, società pubblica milanese, di acquisire la Edison con il risultato che è stata acquisita da Electricitè de France. In passato, aveva anche impedito, sanzionandola come intesa restrittiva del mercato, la partecipazione associata da parte di Acea e di Suez a una gara per l’affidamento del servizio idrico integrato.
Anche il tipo di formula organizzativa che si utilizza produce effetti diversi nell’apertura al mercato: per lungo tempo si è continuato a utilizzare in Francia per vari servizi, come quello postale, la formula dell’ente pubblico economico che è stato destinatario senza gara del servizio universale postale, senza le polemiche che vi sono state in Italia, e non ha avuto il vincolo di fare gare nell’attività con i terzi con la motivazione che la sua attività non avesse “carattere industriale o commerciale”. Lo Stato francese nel contempo ha impedito l’acquisizione di Stx da parte di Fincantieri, come già in passato aveva impedito l’acquisizione di Suez fondendola con Gas de France. È evidente che mentre il sistema francese è stato di favore, quello italiano è stato piuttosto di disaiuto alle proprie imprese pubbliche. Ancora, per restare all’esempio francese – ma è così in varia misura negli altri Paesi europei –, lo Stato ha avuto una intensa sinergia con le grandi imprese private nazionali, alcune delle quali, come Vivendi, hanno costituito un vero e proprio strumento di penetrazione nelle economie di altri Paesi in maniera più forte di quanto sono riuscite a fare Eni ed Enel. Il fatto che negli ultimi decenni sono state acquisite da parte di imprese francesi 518 imprese italiane, comprese alcune strategiche come quelle di telecomunicazioni, a fronte di solo 74 imprese francesi da parte di quelle italiane, non deriva da una scarsa iniziativa di queste ultime ma da un diverso spessore dei sistemi-Paese.
La reazione a questo insensato modo di comportarsi dello Stato e della Autorità garante della concorrenza non può essere quello di un mero ritorno al precedente sistema che aveva registrato la pubblicizzazione di una parte molto consistente delle imprese italiane, ma quello di impostare anzitutto un diverso approccio culturale che eviti gli apriorismi ideologici, sappia comprendere e selezionare i vantaggi e gli svantaggi delle imprese pubbliche nel contesto dato, creando un sistema-Paese con gli operatori pubblici e privati che proceda in modo sinergico al completamento del sistema europeo.