La Chiesa in cammino / 1. Le giuste domande
C’è una questione fondamentale al cuore dell’Introduzione del cardinale Matteo Zuppi all’assemblea dei vescovi in corso a Roma.
«Quali domande aspettano da parte nostra una decisione saggia?». Una questione che a ben vedere è anche al centro del Cammino sinodale della Chiesa in Italia e dei problemi politici, economici e sociali sul tavolo. La potremmo tradurre così. A che serve questo Cammino, quali le sue finalità e quali devono essere gli esiti sperati anche e soprattutto in relazione alle dinamiche della Chiesa in uscita? La risposta del presidente della Cei ha il respiro del magistero di quattro pontificati, da san Paolo VI a Francesco, passando naturalmente per san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E mostra proprio con questa stratificazione di decenni e di Pontefici che la Chiesa è essa stessa cammino e che dal Concilio Vaticano II in poi ha camminato al ritmo delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini d’oggi, per citare l’incipit della Gaudium et Spes.
Ma adesso, ha anche ricordato Zuppi, c’è bisogno di un cambio di paradigma e di passo. Specie in presenza di «un tempo emozionale e soggettivo» in cui «ogni cosa diventa fluida, anche quello che ieri sarebbe stato impensabile». E allora, ecco in tutta la sua valenza la domanda di cui si diceva.
Perché per dare risposte sagge alle domande del nostro tempo - mentre cadono saldi riferimenti e molta parte dell’umanità sembra viaggiare sulle montagne russe, esaltandosi e deprimendosi in quella che il presidente della Cei ha definito «la drammatica vertigine della soggettività dell’io isolato» – bisogna avere un punto fermo, un faro nella notte, un’ancora di salvezza. E questa è la fede, appunto.
La fede nel Dio di Gesù Cristo «da conoscere, amare e imitare», come ricordava San Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio ineunte, non a caso citata nell’Introduzione di martedì. E soprattutto una fede che diventi cultura, perché altrimenti il rischio (sul quale lo stesso Papa Wojtyla metteva in guardia già nel 1982) è che non sia pienamente accolta, interamente pensata e fedelmente vissuta. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium ci ha ricordato, a questo proposito, che «la grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve». Il presidente della Cei ha chiuso in un certo senso il cerchio di questi insegnamenti, ricordando che quando ciò non avviene, «è grande il rischio di ridursi a intimismo, assistenzialismo o semplicemente a vivere fuori dalla storia». In altri termini che c’è il concreto pericolo che la Chiesa e i cristiani diventino «irrilevanti nella vita di troppi» e nella storia stessa. È una sfida epocale quella che attende la Chiesa in Italia, dunque. E in particolare il Cammino sinodale, inteso anche come capacità di ascoltare le domande degli uomini e delle donne lungo la strada e di immettere in quelle domande la dinamica del seme evangelico. Creare cultura, ci ha detto Zuppi, significa non essere né timidi, né pessimisti, né freddi funzionari, né tanto meno omologati al mainstream dominante. Al contrario, equivale ad assumere la logica del dinamismo missionario di papa Francesco e ispirare stili di vita profondamente permeati dal Vangelo, alla luce di una fede pensata che si offre essa stessa come risposta saggia. Questa sfida è di tutti, nella Chiesa («una coscienza isolata non arriva vedere dove invece giunge uno sguardo comunitario e sinodale»).
E il presidente della Cei non l’ha nascosto. Ma un compito particolare il cardinale lo riserva ai laici cristiani. Sia come «bisogno di ripensare più in grande» la loro formazione (esigenza improcrastinabile, dato che in troppi sono esposti alla contro-catechesi dei pozzi avvelenati, spacciati per narrazioni buoni-ste), sia soprattutto come ambito di azione. « Non si tratta di chiedere ai laici qualcosa in più nelle nostre istituzioni, pur cosa buona, – ha ricordato Zuppi – ma di portare questo spirito negli ambienti e nelle situazioni dove solo loro sono». Come dire che il Cammino sinodale è qualcosa di più di una semplice stagione. È invece habitus permanente di una Chiesa sempre più impegnata a dare risposte sagge al mondo. Dalla Politica, all’economia alla bioetica. Dall’accoglienza della vita fino alla speranza per il futuro.