Le ferite di Chondro sfigurano pure noi, chi tace e chi si rassegna è perduto
Caro direttore,
vivo in Bangladesh come missionario da dieci anni e non riesco a mettere da parte la tremenda tristezza che mi ha provocato la notizia del pestaggio attuato a Roma una settimana fa contro un giovane lavoratore del Bangladesh. Parto dal principio che violenza genera violenza, sempre. Ma devo dire che specialmente questo gesto violento nei confronti di Chondro, la persona pestata con ferocia, mi appare assurdo e insensato. Sono disgustato dalla violenza gratuita nei confronti di persone, che costrette dalla povertà devono venire in Italia a lavorare e si ritrovano a essere anche picchiate e maltrattate. Sono rientrato dal Bangladesh, per un periodo di riposo, e ho notato anch’io che tra adolescenti e giovani italiani stanno emergendo atteggiamenti che si esprimono in un ritornante, barbaro e disumano razzismo. Un triste e feroce rigurgito fascista? Prego e spero di no. Ma mi chiedo: quale tipo di società stiamo lasciando crescere? Saranno così le generazioni del futuro? Siamo tutti responsabili di questa violenza sociale. E purtroppo anche i mass media non aiutano a capire la situazione che stiamo vivendo in Italia. Si parla sempre di «invasione» da parte di stranieri, che ci porterebbero via il lavoro... La realtà è diversa, ma tutto ciò crea nella mente dei giovani una sorta di confusione, di paura, di pregiudizio... ed ecco che si arriva alla violenza più feroce. Tutto ciò mi fa temere, e sottolineare, il fallimento delle strutture educative: famiglia, scuola, società nel suo complesso. Un fallimento totale, perché invece di creare degli uomini stiamo preparando degli uomini violenti ostili al “diverso” perché “dà fastidio”. Se si va avanti di questo passo, caro direttore potremmo ritrovarci a dichiarare fallito il nostro stesso Paese perché non avrebbe più niente da insegnare... Mi scusi per lo sfogo mostrato in questa lettera, ma vedendo le immagini del volto sfigurato del giovane Chondro ho provato una immensa tristezza per la ingiustificabile sofferenza che alcuni miei giovani connazionali gli hanno procurato. Rinnovo la mia stima per il suo giornale.
padre Giovanni Gargano, missionario saveriano
I suoi sentimenti sono anche i nostri, caro padre Giovanni. E abbiamo cercato di esprimerli e di condividerli accompagnando la triste cronaca della feroce aggressione contro il signor Chondro, giovane immigrato regolare e persona apprezzata per la sua gentilezza da colleghi e clienti del locale pubblico dove lavora (altrettanto regolarmente) nella famosa e centralissima zona di Campo de’ Fiori, a Roma. Le sue ferite ci riguardano, ci dolgono, non ci danno pace e non possiamo né dobbiamo dimenticarle: i cazzotti furiosi e i calci quasi omicidi contro Chondro sfigurano anche il volto nostro e della nostra gente... Sono però più ottimista di lei sull’efficacia del gran lavoro educativo che ancora e sempre viene svolto nella scuola italiana e, prima ancora, in tante famiglie dove si impara a vivere e a vivere insieme. Ci sono problemi, vuoti, errori, ma c’è molto bene. E non dobbiamo sottovalutarlo. Sono, invece, sempre più allarmato per il mix di faciloneria, sbagliata indulgenza, protervia e cinismo con cui pezzi della classe politica e del sistema mediatico contribuiscono a instillare e ad alimentare sentimenti xenofobi e persino razzisti in persone immature e pronte all’insulto e persino alla violenza. Vedo infatti una pericolosa tendenza a giocare col fuoco delle paure, del sospetto e dell’odio. E, comunque, vedo che si cerca, per raggranellare consensi tra spettatori, lettori ed elettori, a far deragliare verso un’intolleranza cieca e dura il senso di incertezza e di pericolo incombente che questo tempo globale, ferito dagli egoismi dei poteri irresponsabili del mercato senza regole e segnato dal terrorismo jihadista ispira comprensibilmente in tanti. Non mi stanco di ripetere che questa semina maligna e vergognosa deve finire, nella riprovazione più vasta ed esplicita possibile. Coloro che la conducono si dimostrano oggettivamente alleati dei capi del Daesh e di ogni altro “signore” dello sfruttamento cinico, del terrore e della persecuzione dei diversi per fede e per costumi, a cominciare proprio dai nostri fratelli cristiani. Qualunque cosa dicano, qualunque buona causa protestino di voler difendere, la realtà è purtroppo questa: per la strada dei muri e delle porte e dei pugni chiusi gli uni contro gli altri si arriva solo a concepire la separazione arcigna dei mondi, l’incomunicabilità e l’incompatibilità delle culture, l’impossibilità della convivenza sotto il civile mantello di princìpi universali di libertà e di giustizia che si traducono in parole e leggi comuni, condivise, accettate e rispettate da tutti. Né lei, missionario, né io, semplice cronista, vogliamo rassegnarci a questo. Chi si rassegna è perduto, proprio come chi tace, acconsente o addirittura applaude al male e lo fomenta. E come noi – ne sono convinto – la pensano tanti, tanti altri. Esseri umani che sanno essere umani, responsabili di ciò che dicono e fanno e di ciò che viene detto e fatto nelle società di cui sono parte: buone persone, buoni concittadini, buoni cristiani.