Sanità. Le domande ineludibili della questione medica
Caro direttore,
tra Sanità e salute dovrebbe esserci un rapporto virtuoso in vista del bene della persona malata, ma sappiamo quanto da sempre sia impegnativo in termini di efficacia obiettiva e di percezione personale. Fondamentale è la competenza di chi cura, ben espressa nella formazione universitaria e specialistica, ma l’esperienza sul campo risulta poi determinante e variegata nel risultato, a livello sia ospedaliero sia territoriale.
Ultimamente, un malessere strisciante tra gli operatori, esacerbato dalla pandemia, è esploso nella cosiddetta 'questione medica': una crisi di identità e di ruolo della professione all’interno del processo di riforma sanitaria che i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza consentono di attuare. Conflittualità, sfiducia e disaffezione investono molteplici settori, dal Pronto soccorso alla Medicina generale, con rischio di abbandono da ruoli attivi, disinteresse, concorsi deserti. La questione è reale, richiede una risposta nelle scelte personali e va affrontata in ambito politico e istituzionale.
Cresce tuttavia in modo sempre più prepotente la domanda che nuovi e vecchi bisogni del malato pongono al professionista in termini di ascolto e relazione autentica. Un’esigenza di senso nella risposta frammentaria e ipertecnologica di diagnosi e cura che spesso si traduce nel: 'Ma lei, che mi conosce bene, cosa mi consiglia di fare?'. Di fronte a questa divaricazione, in una realtà sanitaria orientata al profitto e all’efficienza delle prestazioni, quando la malattia appare grave e lacerante il rischio di solitudine e d’incomunicabilità reciproca risulta reale. Come colmare questo vuoto e fornire risposte umane prima che tecniche? L’impegno del singolo operatore non basta e si deve collocare in una prospettiva interdisciplinare, capace di accogliere la persona malata nella sua integralità: uno spazio ad ascolto, tempo e parola possibile solo dentro un mosaico terapeutico.
Un dialogo e una sfida vincente che un medico psicologo e un cappellano del-l’Istituto dei Tumori di Milano – Carlo Alfredo Clerici e don Tullio Proserpio – propongono al mondo sanitario in un recentissimo libro fonte di profonda ispirazione ( La spiritualità nella cura, San Paolo). La riforma sanitaria che sta prendendo corpo potrebbe favorire questa prospettiva non solo nelle cure oncologiche ma anche nel vasto mondo delle malattie degenerative, della fragilità e complessità della popolazione anziana in aumento progressivo.
Gli Ospedali sapranno declinare l’eccellenza delle cure dentro luoghi dal volto umano? Le nascenti Case di Comunità sapranno assicurare sul territorio quelle cure primarie capaci di integrazione multispecialistica, prevenzione, assistenza sociale? È urgente pensare a una nuova visione della cura che riaffermi il valore di un servizio sanitario universale, dove l’operatore sanitario è il soggetto principale chiamato a fornire le cure, mentre spettano all’istituzione e alla politica, strumenti di servizio, il ruolo di governance e di sostenibilità economica. Il medico è, dunque, un soggetto da formare e 'proteggere', orientandolo verso compiti innovativi e a una cura che non si esaurisca nell’applicazione di protocolli e di relazioni virtuali informatiche. La sfida è aperta e il cambiamento culturale richiede il contributo di ciascuno per costruire una nuova Sanità sostenibile e rispettosa di tutte le esigenze dell’umano.
Medico, presidente Amci di Milano