Ucraina e dintorni. Le democrazie occidentali sappiano ritrovare lucidità
Non vi è dubbio alcuno che il successo vero nella crisi in Ucraina risieda nell’evitare lo scoppio di un conflitto vero e proprio, una nuova cicatrice di sangue e lacrime inferta sul suolo e sui popoli europei. E nell’altalena di questi giorni, la guerra ora si allontana ora si avvicina, senza offrire garanzie alla pace. Ma se davvero si riuscirà a fermare le armi, è tuttavia inevitabile chiedersi se vi siano comunque vinti e vincitori. Molti analisti sottolineano come l’azzardo di Putin stia cinicamente pagando: egli ha riproposto con forza la Russia quale attore primario con cui confrontarsi; ha di fatto ottenuto, sia pure informalmente, che l’Ucraina non entrerà nella Nato, almeno per molti anni; ha evidenziato le divisioni e i distinguo fra i membri dell’Alleanza.
Potremmo anche aggiungere che è riuscito a ribadire la fragilità dei Paesi europei, che hanno ripreso la scena con singole personalità (da Macron a Scholz e ora a Draghi), ma sono apparsi – una volta di più – incapaci di parlare con una sola voce. Si può discutere su quanto la Russia putiniana pagherà nel futuro per questa sua tracotante esibizione muscolare, ma è certo come l’uomo del Cremlino abbia dimostrato ancora una volta di avere ben chiare le proprie priorità strategiche e i propri obiettivi. Una chiarezza che sembra mancata alle amministrazioni di diverso colore che nell’ultimo decennio hanno occupato la Casa Bianca.
Da tempo infatti, Washington ha identificato nella Cina il suo avversario più temibile (il cosiddetto peer competitor) del XXI secolo. La supremazia mondiale, ripetono, si giocherà nella regione dell’Asia-Pacifico non più nella vecchia Europa e nel Mediterraneo. E allora, se la priorità degli americani è davvero questa, non serve scomodare Machiavelli o gli scritti millenari sull’arte della guerra di Sun Tzu per capire che la loro strategia avrebbe dovuto essere quella di indebolire e non rafforzare l’alleanza fra Mosca e Pechino. Per i russi, una convergenza più figlia della necessità che della convinzione, dato che sono tanti i temi politici ed economici su cui le due potenze divergono.
Soprattutto, la Russia di oggi, come altre volte nel passato, ha bisogno di essere riconosciuta come 'grande potenza', mentre nell’alleanza con la Cina appare sempre più il partner minore. Bastava allora leggere i classici della geopolitica anglosassone: per non finire ai margini della massa continentale euroasiatica, una 'potenza esterna' come gli Stati Uniti d’America deve evitare che questo macro-continente si compatti in un’alleanza ostile. E invece, Washington e vertice Nato hanno assunto un atteggiamento marcatamente anti-russo che non può solo essere giustificato dagli atteggiamenti aggressivi di Putin.
Tanto è vero che diversi Stati europei non hanno mancato di evidenziare le loro perplessità. Ma se dunque si è deciso che la Russia non può mostrare impunemente i muscoli, allora gli Stati Uniti avrebbero dovuto adeguare la loro strategia, che è invece risultata confusa e ondivaga. In Siria, Mosca aveva un obiettivo chiaro: evitare la caduta del dittatore al-Assad e mantenere basi militari e influenza politica. E lo ha ottenuto. Che cosa volessimo noi davvero per quel grande e disgraziato Paese- mosaico, non lo ha capito nessuno. Discorso simile in Libia, ove la marginalizzazione dell’Europa e l’assenza americana fa spiccare ancor più la presenza e il ruolo di Russia e Turchia. Più recentemente, in Kazakistan, la Russia (con l’approvazione di Pechino) ha schiantato le proteste e legato ancor più quel fondamentale Stato asiatico all’alleanza russo-cinese, mentre noi occidentali rimanevamo inerti.
E ora l’Ucraina: prima con l’idea di una sua possibile inclusione nella Nato; poi, quando Mosca ha mosso le truppe, con la precisazione che comunque non avremmo combattuto per Kiev. Tutto questo, mentre Biden sottolineava, soprattutto per motivi interni, i rischi di una guerra, e mentre i leader europei si incamminavano a uno a uno sulle vie dell’Est. Gli stessi ucraini, e suona paradossale, hanno accusato gli occidentali di alimentare inutili allarmismi. Insomma, sembra che le democrazie d’Occidente, finita l’illusione di un mondo sempre più liberale e unito dalla globalizzazione, abbiano smarrito la capacità di analizzare i mutamenti del sistema internazionale e di elaborare strategie coerenti di lungo periodo. Appaiono in grado di giocare solo di rimessa, senza crederci fino in fondo, contro leader autocratici, cinici e spregiudicati. È proprio tempo per gli 'atlantici' di tornare a essere, non cinici per carità, ma almeno lucidi.