Lettere ad Avvenire. La storia, i potenti, la memoria persa. Ma c'è Qualcuno che opera
Caro Avvenire,
chiudo gli occhi e mi rimangono impressi personaggi che sorridono attorno a un tavolo imbandito e che sembrano convinti di decidere tutto nel migliore dei modi, su Assad, Iran, Hezbollah ecc. ecc. Li vedo guardare solo e sempre in avanti. Non li sento mai chiedersi come e perché è avvenuto tutto questo. Mi tornano alla mente tante, tantissime altre situazioni simili, e purtroppo i risultati, questi sì che li possiamo vedere, sono stati solo devastanti e negativi. Quando mai vedremo questi “signori”, fermarsi un attimo, e cercare di fare un esame, non dico di coscienza perché forse sarebbe chiedere troppo, ma almeno, un poco di umiltà e di non credersi sempre “i più bravi”. Quanti nella storia sono stati “i più bravi” e i risultati, purtroppo, li possiamo vedere tutti. Una sola cosa è vera: la “Storia” non insegna, a me, e a loro, mai nulla?
Ettore FiorinaVisite di Stato, conferenze, summit. I potenti del mondo sorridono e si stringono le mani, la pace sembra a un passo, e poi non è mai vero. Vere sono le bombe, i gas, le città distrutte, le colonne di profughi in fuga. Vero è il dolore, il terrore, la fame: sideralmente lontani dai saloni sfarzosi dove si svolgono i summit internazionali. E pare che ogni generazione ricominci da capo, come se non avessimo alle spalle millenni di guerre.
La Storia non insegna nulla, dice lei, signor Fiorina, e devo dire che convengo con lei. Oppure insegna giusto per lo spazio di una generazione, nel tramandarsi da padri in figli. Ma già le memorie dei nonni appaiono remote e quasi assurde, non riuscendo i nipoti a immaginarsi quei vecchi canuti combattere, ragazzi, nelle trincee. Alla mia generazione i genitori hanno intensamente raccontato la Seconda guerra mondiale. Il Duce, il fascismo, e poi le leggi razziali, la guerra, i bombardamenti, la fame. Noi, i figli del boom economico, nati nell’abbondanza, sazi, cresciuti nella pace, li stavamo ad ascoltare sbalorditi. Per noi però le parole fascismo, dittatura, antisemitismo, avevano ancora la concretezza della voce di nostro padre, di nostra madre. Ma mi chiedo che cosa sappia veramente di tutto questo, oggi, un ragazzo di 18 anni. Già la memoria si è affievolita.
E la democrazia pare scontata, e forse nemmeno più attuale, nel tempo del web, dove si vota online e si proclama che “uno vale uno”. Poi, in realtà, a decidere sono in pochi; e addirittura il capo, contro il volere espresso dalla base, può decidere il contrario e semplicemente spiegare: «Dovete fidarvi di me». La postdemocrazia inquieta chi è vecchio e ha ancora un po’ di memoria.
La Storia non insegna, infatti i populismi rinascono nei nostri Paesi smemorati; covano perfino in Occidente, questo Occidente dove credevamo che la pace acquisita fosse per sempre, e ora tremiamo vedendo il terrore che squarcia le nostre città. Ogni generazione di uomini sembra ricominciare daccapo. Sfumano come leggende le testimonianze dei vecchi; alzano le spalle i figli: sciocchezze, pensano, quando a vent’anni credono d’avere il mondo nelle mani.
Eppure dentro a questa smemoratezza c’è un disegno, che volge e modella la Storia, pur dentro tutta la nostra violenza e il nostro male. Pensiamo solo, per fare un esempio, a un uomo come Giovanni Paolo II, che era un ragazzo quando la Germania nazista invase la Polonia. Un ragazzo mandato dai tedeschi a lavorare come operaio. Chi mai avrebbe detto che quell’uomo sarebbe diventato Papa, e che la sua influenza avrebbe incrinato il Muro di Berlino, e piegato la storia in una direzione fino a poco prima impensabile?
Forse la Storia non insegna agli uomini, smemorati e testardi, sempre segnati dalla ferita del peccato originale. E tuttavia Qualcuno opera dentro la storia, e illumina uomini di pace. Per cui anche per questo mondo violento, talvolta feroce, noi cristiani abbiamo il dovere di sperare.