Tradizioni, sofferenze. Le assurde mattanze di animali che resistono solo per divertire
Bufali macellati crudelmente durante il festival indù del Gadhimai, nel villaggio di Bariyarpur, in Nepal
Avete mai visto un animale soffrire o sanguinare? Chi ne ha uno a casa sa bene di cosa si tratta. Vive quel dolore esattamente come noi, animali come loro. Sorprende solo che sia un fatto che possa ancora sorprenderci. Il tema del diritto alla vita degli animali è tornato di attualità per due eventi recenti. In primis, la raccolta delle firme sul referendum abrogativo contro la caccia, iniziata a luglio scorso e che ha raggiunto le 500mila adesioni, e che a detta di alcuni è stata poco pubblicizzata nonostante l’80% degli italiani secondo un sondaggio sarebbe contrario alla caccia. Ma soprattutto per ciò che è successo il 12 settembre scorso, quando la foto di 1.500 delfini distesi su una spiaggia dopo il massacro che ogni anno si celebra nelle Isole Faroe ha scandalizzato il popolo del web e non solo.
Millecinquecento animali uccisi in un solo giorno. Tantissimi, ma poca cosa rispetto al festival indù del Gadhimai, che si celebra ogni cinque anni a Bayarpur, in Nepal. Nell’edizione del 2009 si è stimato il macello di 200mila animali tra cui bufali, capre, polli, anatre. Dopo le critiche, le uccisioni sono scese a 30mila bestie nel 2014: macellate in pochi giorni tramite il prelievo del sangue in cinque diversi punti del corpo. Una morte lenta e dolorosa di povere bestie in onore della dea indù del potere. Di bestiale, nell’era in cui si parla della possibile sesta estinzione di massa, c’è solo la prosecuzione dei festival delle mattanze animali. Uccisi per diletto o arcaiche tradizioni, e non certo per fame. Ogni anno macelliamo 77 miliardi di esseri viventi per motivi alimentari. Di questi oltre 70 miliardi sono polli, 1,3 miliardi i maiali, 1,1 miliardi tra capre e pecore e poco meno di mezzo miliardo bovini. Secondo le Nazioni Unite, molti tra questi finiscono nella spazzatura andando a comporre quel terzo del cibo prodotto nel mondo perso o sprecato ogni anno.
È uno dei maggiori problemi del nostro tempo: la nostra dieta alimentare innesca processi di emissione di CO2 che contribuiscono al riscaldamento globale. L’altro grande dramma è il declino della biodiversità. Siamo di fronte alla possibile sesta estinzione di massa delle specie viventi (l’ultima, la quinta, è stata al tempo dei dinosauri): entro pochi decenni circa il 75% scomparirà dalla Terra. Si tratta, tra le altre, di molte specie animali che compongono il nostro immaginario infantile: rinoceronti, elefanti, tigri, ghepardi, leoni, koala, elefanti, foche, aquile, gorilla, lupi, orsi, tartarughe marine. E alcune tipologie di delfini: per fortuna, non quelli trucidati nel Grindadráp. È la caccia di cetacei che da secoli si svolge nelle Isole Faroe. Un’antica tradizione legale e autorizzata, che fa seguire alla mattanza la distribuzione della carne di delfino. Quest’anno non ha sorpreso l’usanza, ma il numero di animali: 1.500 cetacei uccisi non servono certo a sfamare 53mila abitanti faroesi, una gran quantità sarà comunque sprecata. Quindi questa, come mattanze simili, non ha uno scopo diverso dal puro intrattenimento popolare che risale ad antiche tradizioni.
Riti arcaici, diffusi in tutto il mondo quando la carne era frutto della caccia quotidiana, e non della fila al banco del macellaio. Momenti dove il sacrificio animale era una conquista perché si traduceva in maggior cibo per il popolo festante. Si dice, ad esempio, che per celebrare l’inaugurazione del Colosseo furono immolati 11mila animali. Lo stesso termine “mattanza” in italiano fa riferimento ad un antico metodo di pesca del tonno rosso sviluppato nelle tonnare sarde e siciliane, in cui i pesci erano uccisi per dissanguamento. Ma sono specie vicine al nostro immaginario alimentare e quindi forse sembrano meno vive di altre. Non come i cani, ad esempio. In Cina, durante il solstizio d’estate nel Guangxi si tiene il Yulin Dog Meat Festival, un festival annuale dove si stima siano uccisi circa diecimila cani: radunati e stipati in gabbie senza cibo né acqua, sono trasportati per centinaia di chilometri prima di essere macellati e mangiati. Se torniamo invece a buoi, maiali e tori, i festival nel mondo non gli risparmiamo brutalità. In Brasile, durante la Farra do Boi, i buoi sono inseguiti, presi a pugni, calci e picchiati con bastoni, coltelli, fruste, pietre e corde. I loro occhi vengono strofinati con peperoncino e cavati: gli arti rotti, le code spezzate.
Nel villaggio di Nem Thuon in Vietnam, durante un festival locale, i maiali sono legati per le quattro zampe e costretti sulla schiena, dipinti e fatti sfilare per la città prima di essere uccisi. Secondo diversi dati, i maiali sono tra gli animali più sensibili che ci circondano, con un livello di intelligenza simile ad un bambino di 3 anni. In Messico, nella città di Citilcum nello Yucatán, la kermesse annuale chiamata Kots Kaal Patoprevede che iguana, opossum ed altri animaletti siano bastonati a morte dalla popolazione festante, come si fa con le piñatas. Sono i tori, comunque, l’oggetto preferito dei festival delle mattanze animali. Due kermesse in Messico (Tlacoltapan e il Torneo de Lazo), una in Sudafrica (Umkhosi Ukweshwama) e soprattutto le corridas: diffuse in Portogallo, nel sud della Francia e com’è noto soprattutto in Spagna, dove annualmente se ne celebrano circa 600 con il sacrificio di 16.000 tori. Oggi l’estetica e lenta uccisione del toro è “patrimonio culturale” in virtù di una legge spagnola del 2013.
E in Italia? Niente di tutto questo. Le uniche manifestazioni da tenere sotto osservazione sono quelle in cui animali sono «costretti a competere», come spiega l’Organizzazione Internazionale Protezione animali. Ad esempio? «Competizioni di cavalli (Palio di Siena, Palio di Feltre, Palio di Asti e altri), corse di buoi (Puglia, Molise), gare tra asini (Premosello, Masera, Galliate, S. Maria a Monte, Cembra, Calliano, Castelsilvano, Benetutti, Alba e tantissime altre località), eventi agonistici con struzzi, agnelli, anatre e oche (queste ultime a Como, Montagnano, Lacchiarella, San Miniato) e anche rane (San Casciano Bagni)». Ma da noi né tori né altri animali possono essere uccisi o maltrattati, come spiega Claudia Taccani, responsabile dello Sportello legale dell’Oipa e portavoce del presidente. «Secondo il nostro Codice penale uccidere un animale è reato: e lo è uccidere come maltrattare. La pena è la reclusione da 4 mesi a 2 anni. La stessa pena riguarda “chi organizza o promuove spettacoli o manifestazioni che comportino sevizie o strazio per gli animali”».
L’Italia è uno tra i paesi più attenti ai diritti degli animali. E sul piano dei festival, i pali – pur oggetto di critiche – mostrano nello specifico tutele e controlli degli animali coinvolti «che però andrebbero incrementati». «Ma all’estero ci sono situazioni molto peggiori – continua l’avvocato –: pensiamo alla Spagna dove ancora, tranne in Catalogna, si organizza la corrida o alle perreras, ossia strutture dove vengono soppressi cani e gatti randagi o abbandonati. Da noi dal 1991 è vietata la soppressione di animali e gatti abbandonati, salvo che siano gravemente malati, incurabili o di comprovata pericolosità». Una situazione frutto di un cambiamento della considerazione sociale: «Nel 2004 è stato introdotto un impianto normativo che ha aggiornato la tutela giuridica degli animali, rispetto a quanto originariamente previsto. Ma come Oipa chiediamo l’aumento delle pene per maltrattamento e uccisione di animali, e anche l’introduzione di nuove figure di reato e di aggravanti, legate ad esempio alla pubblicazione o alla divulgazione sui social di immagini di animali maltrattati».