Il direttore risponde. «Le armi dell’Is cadranno». È così, e bisogna volerlo ora
Caro direttore,
quello che sta accadendo lontano dagli sguardi assonnati e pavidi dei popoli della vecchia Europa (il “quieto viver borghese” che un giorno ci verrà rimproverato), ma vicinissimo alle sue radici storiche – la distruzione che minaccia il patrimonio archeologico di Palmira e di altre località siriane cadute in mano ai combattenti del califfato dopo i misfatti compiuti in Iraq – svela la vera debolezza dell’Is, quella culturale, e non la sua forza, che è quella del fanatismo e delle braccia armate. Chi vuole cancellare il senso della storia, di coloro che ci hanno preceduto nel bene e nel male e di ciò che ci hanno consegnato di ricchezza e di miseria, non ha futuro e ha già perso il presente. Senza realismo, ragionevolezza e moralità – senza uno scopo che corrisponda al cuore di ciascuno di noi, di ogni donna e uomo, che non è fatto per la violenza e la morte, ma per la pace e la vita – anche le braccia si alzano e lasciano cadere le armi. È solo questione di tempo: gli errori e gli orrori del secolo scorso lo testimoniano. Il nostro compito è quello di stringere questo tempo, di favorire il ritorno dell’amicizia civile fra le persone e i popoli per contenere il dramma di sangue e di sofferenza che una guerra senza quartieri e fronti, polverizzata, sta provocando. Quale strategia l’Occidente può giocare in questa direzione, sono in molti a chiederselo. Verso chi, come i capi e i miliziani dell’Is, mostra di non avere il senso del proprio limite perché ha perduto quello del tempo e della storia, la risposta armata genera ulteriore violenza, e la macchina bellica scatena odio, alimenta terrorismo e coltiva ambizioni di rivincita, come più volte ricordato anche da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e papa Francesco. Quella in corso non è una guerra tra eserciti tradizionali i cui comandanti e soldati obbediscono alla ragione politica e militare che porta a risparmiare vite umane, alla resa definitiva del più debole, al cessate il fuoco permanente e al tavolo delle trattative. Non sono così le guerre nel nostro secolo. L’alternativa è offerta dal tallone d’Achille dell’integralismo fanatico e violento del califfato: la loro debolezza culturale. Aiutare i fedeli islamici, sunniti e sciiti, a riscoprire il senso religioso autentico che è in ciascuno di loro e in ciascuno di noi, generatore della nostra cultura e della nostra storia. Non è rinnegando le radici – per quanto ci riguarda le radici ebraico-cristiane dell’Occidente e del Vicino Oriente – ma recuperandole e rafforzandole che potremo sconfiggere i frutti violenti della debolezza culturale, terreno di facile conquista per i predicatori di odio e di violenza. Educare il senso religioso che è all’origine di ogni fede la purifica e la rafforza, e rende capaci di testimoniarne la bellezza e la verità di una vita rispettando e valorizzando ogni accento di esse che traspare attraverso la libertà di ciascuno, senza forzature né violenze. In fondo, è questa l’autentica “laicità”.
Roberto Colombo