Opinioni

L'analisi. Lavoro, per la risalita si punta sui professionisti

di Francesco Riccardi sabato 2 gennaio 2016
L’evento-simbolo doveva essere la definitiva scomparsa delle collaborazioni a progetto, l’obiettivo fare del 2016 l’anno della fine della precarietà del lavoro. Nelle intenzioni del governo e di quanti hanno sostenuto il Jobs act, infatti, il mercato del lavoro dal primo gennaio di quest’anno doveva diventare finalmente trasparente, offrire maggiori opportunità di impiego, ma soprattutto di migliore qualità con contratti stabili. Un traguardo per raggiungere il quale l’esecutivo ha messo in campo un’ampia riforma normativa e un impegno finanziario notevole: fino a 12 miliardi di euro in tre anni per la decontribuzione delle assunzioni a tutele crescenti. Il risultato che il 2015 lascia in eredità al nuovo anno, però, non è così netto, non si passa dal nero al bianco così facilmente. Prevalgono ancora, piuttosto, tutte le sfumature di grigio tipiche di una situazione di transizione ancora lunga da passare. Come ha sottolineato anche il presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno: «L’occupazione è tornata a crescere... ma il lavoro manca ancora a troppi dei nostri giovani». La crescita generale dei posti di lavoro, infatti, non è stata così forte come ci si sarebbe aspettato, né soprattutto così netta come continua a dipingerla Matteo Renzi, da ultimo nella conferenza stampa di fine anno. Dipende sempre infatti da quali dati si scelgono di confrontare. 300mila posti in più sottolineati dal premier si riscontrano solo se ci si riferisce al punto più basso raggiunto dall’occupazione in Italia nel 2013. Se invece si guarda agli ultimi 12 mesi, il bilancio stilato dall’Istat è assai più 'magro': solo 75mila occupati in più a ottobre 2015 rispetto a un anno prima, frutto di un incremento assai marcato di contratti a tempo determinato (+146mila), un modesto aumento dei contratti stabili (+13mila) e ancora una netta caduta del lavoro autonomo (-83mila). Ed è proprio questo dato dell’incremento dei contratti a tempo determinato – e perciò stesso instabili – a essere particolarmente significativa. Nonostante i forti incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato e il 'rincaro' di quelli a termine, infatti, gli imprenditori continuano evidentemente a non fidarsi della solidità della ripresa e prediligono ancora strategie prudenti sull’incremento di personale (oltre che essere impegnati a riassorbire dalla cassa integrazione). Conferme vengono anche dai tassi di permanenza nel lavoro a termine che l’Istat segnala in aumento di 2,5 punti in un anno, e che restano intorno al 60%, segno che quasi due terzi di chi ha un’occupazione instabile rimane in quella condizione. Solo in leggero aumento, meno di un punto percentuale, le transizioni verso un lavoro stabile, che non superano il 20%. La Fondazione Di Vittorio, infine, calcola che tra disoccupati, cassaintegrati e precari siano ben 9,3 milioni le persone in difficoltà sul piano del lavoro. «Nel complesso il mercato del lavoro è certamente meno precario – sottolinea Maurizio Del Conte, giuslavorista della Bocconi, consulente del governo, appena nominato presidente dell’Agenzia per le politiche attive –. È aumentata la quota parte di contratti a tempo indeterminato sul totale, l’incremento di quelli a termine è relativo (e semmai sfata il mito delle assunzioni a tutele crescenti solo per incassare lo sconto contributivo e poi licenziare), le collaborazioni sono state in buona parte trasformate in assunzioni di dipendenti, mentre una quota marginale è stata sostituita con un maggior utilizzo di voucher». Un quadro che si ritrova nei dati elaborati dall’Osservatorio sulla precarietà dell’Inps: la quota dei contratti a tempo indeterminato sul totale delle assunzioni, nel periodo gennaio-ottobre 2015 è arrivato al 38,2% dopo aver toccato un minimo del 32% nell’analogo periodo 2014 e il 34,8% nel 2013. Un netto miglioramento, dunque, anche se non il boom che ci si poteva attendere. Positive sono anche le altre cifre evidenziate dall’Inps: +29,8% i nuovi rapporti a tempo indeterminato, +16,3% le trasformazioni di rapporti a termine che lo scorso anno segnavano un -20% e +20,7% registrano anche le trasformazioni dei contratti di apprendistato (quest’ultima la forma più 'penalizzata', che ha subito maggiormente la concorrenza dei contratti a tutela crescente, alla fine più semplici e convenienti per i datori). Da tempo, inoltre, si segnala l’abnorme aumento del ricorso ai voucher per il lavoro occasionale – in 10 mesi ne sono stati venduti per oltre 91 milioni di euro, il 282% in più rispetto al 2013 – i cui limiti di utilizzo sono stati ampliati e con i quali si sospetta vengano retribuite attività continuative, in particolare nei servizi e in agricoltura, bypassando i contratti collettivi e i minimi previsti. Una sorta di 'nero' legalizzato. Il 2016 segna quindi la scomparsa dei contratti a progetto. Ma non delle collaborazioni, delle co.co.co., che continuano a essere lecite in tutti quei casi in cui non nascondo lavoro dipendente mascherato o, per dirlo più tecnicamente, non sono eterodirette dal datore di lavoro in termini di luogo, orario e svolgimento della prestazione (nel qual caso si trasformano in rapporti subordinati). Sono inoltre fatti salvi i rapporti di collaborazione con le società sportive dilettantistiche, quelle di iscritti ad albi professionali (giornalisti, architetti, ecc.), di sindaci e consiglieri di società, quelle regolate da contratti collettivi nazionali come per i call center e ancora per un anno nei rapporti con la Pubblica amministrazione. Dopo le novità del Jobs act, il governo punta ora a rafforzare la posizione proprio di professionisti e autonomi che sempre più caratterizzeranno il nuovo mercato del lavoro. «Incentivate le assunzioni e fatta pulizia dei rapporti 'dubbi', l’intento è di valorizzare gli aspetti specifici del lavoro autonomo non imprenditoriale, intervenire sugli aspetti contrattuali critici, migliorare le tutele di welfare e favorire il cosiddetto 'smart working' (il lavoro intelligente, da casa e in mobilità) – spiega ancora Del Conte –. Per questo sono stati predisposti i due collegati alla legge di Stabilità che verranno presentati entro gennaio e approvati dal Parlamento spero già a primavera». I disegni di legge prevedono anzitutto che il committente non possa imporre clausole abusive o vessatorie nei confronti del lavoratore, variare unilateralmente i contratti, recedere anticipatamente o fissare termini superiori ai 60 giorni per il pagamento delle fatture. Lascia poi al prestatore d’opera il diritto di utilizzo economico delle proprie invenzioni o apporti originali che non siano oggetto del contratto ed estende alcune misure di welfare relative alle malattia, tra cui anche la possibilità per il lavoratore di sospendere i versamenti contributivi nel periodo di astensione forzata dal lavoro. Ancora, prevede l’estensione ai professionisti dei congedi parentali e dell’indennità di maternità, con la possibilità di poter fruire di quest’ultima anche senza sospendere del tutto l’attività per non perdere eventuali occasioni di lavoro e clientela. Infine, se la legge sarà approvata, sarà possibile per questi professionisti prestare la loro opera alle pubbliche amministrazioni senza doversi necessariamente costituirsi in società come finora previsto. «Il governo ha finalmente cominciato ad ascoltare i professionisti, con l’approccio giusto, quello cioè di non considerarci dei 'diversamente dipendenti', ma valorizzando le nostre specificità», commenta Andrea Dili, portavoce dell’associazione di Partite Iva XX maggio. «Manca ancora il tassello della previdenza – visto che l’aumento dell’aliquota al 27% è bloccata solo per quest’anno mentre andrebbe armonizzata a quella degli altri autonomi – ma il confronto sembra ora ben avviato». Il 2016, così, potrebbe essere l’anno di svolta per il lavoro professionale. Sperando che il consolidarsi della ripresa, con il Pil previsto al +1,5%, metta finalmente il turbo alla crescita dell’occupazione. Per ritornare ai livelli pre-crisi, infatti, ci sono da recuperare qualcosa come 900mila posti di lavoro. Come direbbero gli AC/DC «It’s a long way to the top» , è lunga la strada per tornare ai massimi.