Il direttore risponde. Lavorare a una «crescita felice»
Caro direttore,
Monti e Hollande al recente vertice italo-francese rilanciano l’idea del Tav, il cui costo è stimato intorno a 8,2 miliardi di euro, destinati certamente a lievitare in corso d’opera. Si continua a dire che tale opera è indispensabile e che consentirà di creare molti nuovi posti di lavoro. Ma è davvero così? Secondo i dati ministeriali ufficiali, la nuova galleria del Tav consentirà di creare al massimo 6.000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 miliardi di euro, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito. Si potrebbe fare diversamente e investire questo denaro in maniera più utile? Certamente sì! In uno studio dell’Enea del 2009 si propongono interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 miliardi di euro ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi previsti per il Tav si potrebbe ridurre del 20% il consumo di energia di questi edifici, pari a oltre 420 milioni di euro all’anno e si potrebbero creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Si rilancerebbe un settore in crisi, quello dell’edilizia, che non ripartirà certamente con il solo Tav e si darebbe lavoro a decine di migliaia di piccole e medie imprese, a operai, artigiani e installatori. Questa è la proposta del Movimento per la decrescita felice, contenuta nell’appello 'Spostare la priorità dalla crescita del Pil alla crescita dell’occupazione in lavori utili'. Passare dalle grandi opere costose, inutili, inquinanti ed energivore alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio nazionale e alla salvaguardia del territorio dall’incuria, dal degrado e dal dissesto idrogeologico.
Luca Salvi, VeronaIl suo ragionamento, caro dottor Salvi, è come al solito stimolante e, a mio giudizio, in parte apprezzabile. C’è un cantiere immenso che in Italia bisognerebbe decidersi ad aprire per 'riqualificare' non solo sul piano energetico, ma anche sul piano urbanistico e ambientale grandi e piccole aree edificate e/o spopolate del nostro territorio nazionale. Sono però altrettanto convinto del fatto che le grandi reti e le grandi infrastrutture siano un essenziale strumento di sviluppo, non solo e non tanto per i posti di lavoro che assorbono nelle fasi realizzative, ma per il duraturo contributo che garantiscono al bene comune e per i rischi di isolamento e marginalizzazione che scongiurano nel contesto europeo e planetario. Penso, insomma, che non possiamo rinunciare a snodi e vie di comunicazione adeguati (nonché localizzati e costruiti in modo sensato e sostenibile), a reti distributive efficienti, ben diffuse e meglio curate, a collegamenti di ogni tipo realmente civili e affidabili. Conosco, certo, le teorie suggestive e persino affascinanti della 'decrescita felice', ma sono tra coloro che chiedono un diverso tipo di crescita, e lavorano per essa. Una crescita che sia sviluppo integrale, cioè non sia solo inchiodata a quell’indice utile e acuminato (ma purtroppo anche disumanizzato) che chiamiamo Pil e consideri tutto ciò che davvero arricchisce e rende buona la vita degli uomini e delle donne, delle famiglie e delle comunità. Sono, in definitiva, non per la decrescita ma per la 'crescita felice'. Infine, dichiaro senza impaccio alcuno – da persona che li usa e li usa tanto – di ritenere che i treni ad alta velocità possano contribuire a un sensato sviluppo, e che in Italia abbiamo perso anni in sterili diatribe ritardandone l’introduzione. Così come – da uomo nato in provincia e che nelle nostre vitali province torna spesso – penso che i treni ad alta velocità non bastino a collegare come si deve il Bel Paese e che l’intera rete e specialmente i servizi ferroviari 'locali' meritino rispetto, fondi e altissima attenzione. Quanto alla ingarbugliata questione della Tav italo-francese, a costo di essere banale e di dispiacere a qualcuno dico che poiché le cose nuove si possono fare bene o fare male e che non mancano motivate preoccupazioni, bisogna spiegare e fare assolutamente bene ciò che è in progetto. So che si rischia il dialogo tra sordi e che la contrapposizione appare insolubile, ma la paralisi va scongiurata. Bisogna decidersi a saper fare. Perché, in certi casi, correggendo un antico detto, «chi non fa, sbaglia».