Tigrai. L'atroce guerra d'Etiopia conosce infine tregua
Nonostante tutto sta reggendo la tregua umanitaria dichiarata a fine marzo dal governo di Addis Abeba e accettata dalle autorità del Tigrai in cambio dell’accesso di aiuti nella regione dell’Etiopia settentrionale. Tregua fragile, certo. Da dicembre scorso è in atto un blocco degli aiuti da parte di Addis Abeba che sta uccidendo i più vulnerabili nella regione nel nord dell’Etiopia, isolata sin dal novembre 2020. Il 90% delle strutture sanitarie è stato distrutto, manca l’energia elettrica, sono chiuse le banche e le scuole, si soffre la fame. Il conflitto ha già provocato oltre tre milioni di sfollati interni, una catastrofe umanitaria, e sta dando impulso a flussi migratori verso i Paesi del Golfo e d’Europa. I camion con cibo e medicine, denunciano le organizzazioni internazionali, vengono lasciati passare con esasperante lentezza.
Eppure le armi tacciono nonostante le molte ragioni per cui potrebbero tornare a uccidere. Ad esempio per gli orrori. Il rapporto che ieri – eccezionalmente – Amnesty International e Human rights watch hanno pubblicato insieme, documenta ancora una volta che cosa è successo in questa guerra civi- le, che su 'Avvenire' fin dall’inizio abbiamo definito «oscurata ». Intitolata 'Vi cancelleremo da questa terra', l’indagine offre testimonianze sconvolgenti di violenza cieca sugli inermi.
Non è la prima volta che emergono le prove di crimini contro l’umanità in Tigrai. È anzi l’ennesima conferma che in particolare le truppe eritree e le milizie Amhara con la complicità dell’esercito federale del Nobel per la pace Abiy Ahmed hanno tentato una pulizia etnica contro gli odiati tigrini. Poi, come la stessa Amnesty ha recentemente documentato, anche le forze tigrine del Tplf nelle aree limitrofe dell’Amhara e dell’Afar lo scorso autunno si sono macchiate degli stessi crimini seppur con numeri inferiori: uccisioni arbitrarie e di massa, violenze di gruppo contro le donne, saccheggio degli edifici pubblici e privati.
Proviamo ora a guardare la guerra lontana del Corno d’Africa come fosse lo specchio della guerra in corso nel cuore d’Europa. In Ucraina gli orrori appena denunciati commessi dalle truppe russe nei villaggi ucraini di Bocha, Borodyanka e Irpin in alcuni casi sono stati documentati in diretta, in altri i giornalisti li stanno svelando. In Tigrai tutto ciò non è stato possibile per le restrizioni all’accesso e perché questa guerra 'non interessa' all’opinione pubblica internazionale.
Però sappiamo dalle testimonianze di superstiti e di operatori umanitari che in 17 mesi sono state commesse le stesse atrocità contro civili inermi, donne, anziani e bambini. Sono circolate immagini cruente solo sui social, gli stessi gruppi di analisi specializzati in controllo e divulgazione online dei 'fatti' che operano in Ucraina hanno confermato la veridicità di molti massacri sul suolo etiope. Però oggi in uno dei tanti conflitti dimenticati d’Africa – teatro della maggior parte delle guerre nascoste che compongono il mosaico della «terza guerra mondiale a pezzi» – le armi tacciono e questo invita in un tempo buio a sperare spes contra spem.
Va rafforzata questa tregua resa fragile non solo dall’arrivo con il contagocce degli aiuti umanitari, ma soprattutto dai diversi interessi nell’area delle superpotenze del mondo multilaterale competitivo (Cina, Russia, Usa, Turchia, Paesi arabi) a caccia di risorse sopra e sotto il suolo. Ed è necessario e urgente che la comunità internazionale, che ha taciuto troppo a lungo, si sforzi di premere su Addis Abeba e Macallè perché gli aiuti entrino velocemente e i belligeranti inizino i colloqui di pace. E soprattutto perché l’Onu attivi una commissione di indagine sui crimini commessi contro i civili. Così si rafforza la condizione necessaria della pace, che è la giustizia. In Europa come in Africa, macrocontinente del nostro destino.