Opinioni

La città, il nostro futuro. L'aria di Milano rende liberi ma è ancora irrespirabile

Elena Granata * mercoledì 29 gennaio 2020

Elena Granata, Professore Associato di Urbanistica al Politecnico di Milano

Ha superato il milione e quattrocentomila iscritti all’anagrafe, Milano cresce, sale, attira imprese e capitali, confermando un trend iniziato con gli anni Duemila. E soprattutto non smette di far parlare di sé. Lasciatasi alle spalle quella naturale introversione di città fredda e brutta, da anni ha ricominciato a ripensare il suo spazio pubblico. Una densità di nuove architetture, piazze, progetti, strade che incuriosisce e attira. Ma come sempre, non sono (solo) i grandi numeri a dare la misura del cambiamento. Milano, come tante altre grandi metropoli del mondo, possiede qualcosa che gli economisti faticano a nominare: una sconfinata possibilità di scelta e una febbrile eccitazione. Quella sensazione che stia sempre cominciando qualcosa, una nuova rassegna, una settimana dedicata, che ci sia sempre qualcosa che accade e che ci stiamo perdendo.

Gli investitori economici e le imprese, gli studenti e i turisti di passaggio, i cittadini e gli attori del Terzo Settore sentono che si può osare, si possono mescolare i codici, si possono inventare nuovi stili di vita (economia dello scambio, nascita di imprese sociali, vitalità di start up e imprese giovanili). Mondi prima fortemente segmentati hanno cominciato ad ibridarsi, con una contaminazione crescente di stili. Anche il Terzo Settore ha ampliato il proprio campo d’azione, occupandosi di verde urbano e spazi pubblici, di abitabilità dei quartieri, di mobilità lenta, attività culturali, consumi alternativi, imprese creative. È un’eccedenza di capitale sociale e di reti di fiducia, che consente (al netto delle peripezie imposte dal doppio decreto Salvini) che anche temi delicati come l’accoglienza dei migranti sia gestita e assorbita dalla società civile in maniera accorta e serena.

Questa stagione di particolare effervescenza, di piattaforme digitali, di festival, week e convention, ha tolto un po’ di dialettica al dibattito pubblico; rare sono le occasioni di advocacy, ci si affeziona in fretta a ricette e parole d’ordine suggestive. Quel diffuso entusiasmo ha distratto dal vedere le lunghe fila per il pane e di sentire la vuota solitudine dei vecchi, di capire che la questione ambientale oggi richiede misure serie e straordinarie. L’equilibrio raggiunto non è affatto perfetto. E qualche numero ce lo conferma. I bambini in età da nido, tra 0 e 3 anni (4,1%) sono la metà degli ultraottantenni (8,1%), i teenager (17,1%) poco più della metà dei cittadini sopra i 60 anni (28,2%), dati riferiti alla fine del 2019. Il milanese-tipo è un uomo o una donna adulto tra i 30-54 anni (37%), single, con una buona posizione lavorativa. E questa composizione fatta di soggetti capaci e autonomi spiega perché a Milano si ponga minor attenzione alla dimensiona pubblica collettiva: casa, scuola, anziani, ambiente. Milano non sarebbe cambiata senza il protagonismo femminile che l’ha connotata. Tre quarti delle donne di questa città sono attive nel lavoro, un dato che solo di un soffio sfiora la metà di quelli che lavorano (48% del totale degli occupati) e quasi la metà delle lavoratrici svolge professioni altamente qualificate. Se donne lavorano, a Milano pagano più che altrove il prezzo della loro carriera, spesso rinunciando ai figli. Anche su questo abbiamo perso tempo, lasciato correre. Ma la mano invisibile non provvede a tutto.
Chi riesce a dare voce e sostanza alla questione ambientale in maniera incisiva, senza accontentarsi di soluzioni semplici? È innegabile l’impegno per un migliore trasporto pubblico, l’introduzione di vincoli per l’accesso alle auto in alcune aree (Area B e Area C), la qualità diffusa del verde, e perfino il progetto di piantumazione intensiva (suggestivo e visionario, forse non così praticabile). Il dato di realtà ci mette con i piedi per terra e ci dice che Milano è tra le prime sei città della Pianura Padana per giornate fuorilegge per Pm10 e ozono (dati Legambiente, 2019, tanto che per domenica è previsto un blocco totale delle auto) e l’attenzione per il suolo, per lo spazio aperto, per un sistema connesso di ciclabili sicure, è ancora limitata. Né si può sperare di intervenire efficacemente senza interventi a scala metropolitana e regionale.

Lo smog non conosce confini amministrativi. Più in generale manca la capacità di connettere in misure decise e coerenti, quella galassia di azioni e buone pratiche che riguardano casa-fragilità- lavoro-salute-ambiente. Siamo a un punto di svolta, da cogliere se si vuole capitalizzare in modo serio la fiducia di questi anni; ci sono i primi segnali importanti che su alcuni temi, come l’ambiente, non si può più vivere di rendita o di annunci. Milano dovrà immaginare chi sono gli abitanti dei prossimi anni, dovrà avviare l’annunciata e poi dimenticata transizione ecologica, porre con forza il tema dell’invecchiamento e della qualità di vita della quarta età, e infine, ultimo, ma non questo meno importante, dovrà capire se davvero il prezzo chiesto alle donne per realizzare i loro talenti sia la rinuncia a legami e figli.

* Professore Associato di Urbanistica al Politecnico di Milano