Non è questo il momento di chiudere i cancelli ai rifugiati. Lampedusa, un anno dopo: doveri e interessi dell'Europa
Caro direttore,
un anno fa 366 persone, tra uomini, donne e bambini hanno perso la vita a soli 800 metri dalle coste di Lampedusa. Si erano diretti in Europa alla ricerca di protezione, ma hanno trovato soltanto morte. Negli ultimi anni il Mediterraneo, per millenni culla di civiltà, si è trasformato nell’epicentro di una silenziosa catastrofe umana. Dall’inizio di quest’anno sono annegate o risultate disperse almeno 3.000 persone, quasi quattro volte il numero relativo a tutto il 2013. È una responsabilità morale dell’Europa fermare quanto sta accadendo.
Evitiamo di confondere dibattiti e contestazioni diverse: ci sono persone che intendono emigrare; ci sono persone che richiedono asilo perché vittime di persecuzioni politiche; ci sono rifugiati umanitari in fuga da povertà estrema, disastri naturali e malattie; rifugiati in fuga da guerre e disordini civili alla ricerca di protezione temporanea. Potremo affrontare seriamente il problema, solo se accantoniamo tante idee sbagliate.
Primo: l’Europa non è semplicemente uno spettatore inerme sulla sponda battuta dalle ondate del popolo dei barconi. La nostra incapacità di concordare politiche Ue coerenti in materia di immigrazione e asilo, nonché il nostro mancato impegno nella realizzazione di una politica euro-mediterranea a pieno titolo, offrono terreno fertile agli odiosi crimini perpetrati da trafficanti violenti e privi di scrupoli. Se ci fosse un’azione più decisa da parte nostra, in molti non sarebbero obbligati all’azzardo, questo è di fatto la traversata illegale del mare, ma avrebbero invece la possibilità, seppure non la garanzia, di risiedere legalmente, integrandosi e contribuendo all’economia. Un impegno maggiore da parte dell’Ue nel Mediterraneo contribuirebbe alla stabilità nella regione, e questa a sua volta renderebbe meno impellente la necessità di emigrare. È necessario un impegno a lungo termine nei luoghi di origine, attraverso per esempio, programmi di ricostruzione congiunti a livello europeo.
Secondo: l’Europa non è a posto con i propri doveri. Non abbiamo fatto tutta la nostra parte e non è questo il momento di chiudere i cancelli. Solo il 4% dei rifugiati siriani è stato accolto in Europa, a fronte di un milione di siriani ospitati in Libano, paese di 5 milioni di abitanti. La Turchia è in prima linea nella crisi dei rifugiati provenienti sia da Siria sia da Iraq. Luoghi come l’isola italiana dii Lampedusa o Malta sono allo stremo, ma la soluzione è che altri Paesi membri e l’Ue intera facciano di più, applicando i princìpi di equa distribuzione del carico e di solidarietà.
Terzo: si deve controbattere alle affermazioni di quanti sostengono che "lasciare entrare tutti" porterebbe alla risoluzione di tutti i conflitti nel mondo. Una corretta politica per i richiedenti asilo e i rifugiati implica l’esistenza di regole eque e chiare, con l’indicazione di alcune limitazioni e priorità, che consentano di garantire protezione a chi ne ha maggiormente bisogno.
L’insediamento della nuova Commissione è imminente e ciò deve portare nuovo slancio anche sul fronte delle emergenze umanitarie e della concessione di asilo, nonché alla definizione di una politica comune di immigrazione. L’operazione Triton, recentemente avviata, deve ricevere risorse finanziarie e operative significative per condurre efficacemente le attività di ricerca e salvataggio e non deve servire da mero complemento alla lodevole Mare Nostrum italiana.
Dobbiamo siglare al più presto accordi per la gestione delle migrazioni con le nazioni di origine e di transito per far sì che i trafficanti non godano della libertà che hanno al momento di agire indisturbati al largo di alcuni Paesi del Nordafrica. La risoluzione della crisi in Libia rappresenterà una componente chiave nell’ambito di questa strategia.
L’instabilità in tutti gli Stati a noi vicini ci fa capire che questo problema non è destinato a scomparire. La Ue ha recentemente intrapreso passi positivi sul fronte delle richieste di asilo, ma c’è ancora molto da fare.
Quanto alle migrazioni, il primo punto cruciale è la creazione di una politica Ue che non rappresenti una mera seconda fase della politica in materia di asilo. L’attuale mancanza di una politica di immigrazione comporta che, sebbene molti nostri Paesi siano un polo di attrazione costante per la forza lavoro di cui necessitano, quanti vi fanno ingresso irregolarmente sono costretti a rimanere nell’ombra, privi di una possibilità di integrazione.
La Ue necessita di persone, le riceve per poi perderle. Se non fosse tragico, sarebbe assurdo. Dobbiamo risolvere questo problema, non solo per ragioni umanitarie, ma anche per affrontare la questione demografica della Ue e il tema della sostenibilità del nostro welfare. Innanzitutto, dobbiamo adoperarci per promuovere ulteriormente la mobilità circolare, migliorare il regime di riconoscimento delle qualifiche professionali e rafforzare il nostro impegno con le comunità della diaspora. Inoltre, tutti gli aspetti relativi all’immigrazione devono essere sempre più profondamente integrati nella nostra cooperazione allo sviluppo, in particolare con i Paesi di origine e di transito, dove l’assenza di diritti umani e la cattiva gestione governativa sono spesso all’origine dell’emigrazione. Infine, dobbiamo cominciare a impegnarci seriamente per realizzare una politica di immigrazione legale a pieno titolo. L’Europa è sempre stata e continuerà a essere un continente caratterizzato dall’immigrazione. È logico pertanto che abbia anch’essa un sistema che disciplini l’immigrazione legale, con criteri chiari ed equi, analogo a quelli vigenti in altri Paesi a forte immigrazione, come gli Stati Uniti e il Canada.
La situazione che abbiamo di fronte richiede soluzioni immediate. Soluzioni che proteggano coloro che sono in pericolo, che rispondano ai nostri bisogni economici e ai problemi demografici e che siano di sostegno ai Paesi in prima linea nell’accoglimento della maggioranza degli arrivi. Se veniamo meno alle aspettative, i cittadini andranno a chiedere una soluzione a forze politiche populiste, razziste e xenofobe. Non c’è bisogno di andare troppo indietro nella nostra storia per capire a quali disastri porterebbero queste soluzioni.