Opinioni

Una storia giapponese di abbandono a lieto fine e una morale per tutti. L'amore è un regalo (non si tratta così un figlio)

Ferdinando Camon domenica 5 giugno 2016
Una storia giapponese di abbandono a lieto fine e una morale per tutti «Speriamo che abbia imparato la lezione» dicono i giapponesi riferendosi al padre che ha abbandonato il figlio di 7 anni su una montagna dove s’aggirano orsi. Adesso il bambino è stato ritrovato vivo e sano, dopo una settimana di angosce. Da parte sua il padre ribatte: «Volevo dargli una lezione, ma forse ho esagerato», e in tv chiede scusa a tutti, inchinandosi profondamente. Allora ragioniamo: chi ha imparato la lezione qui? Il padre o il figlio? Il padre, senza dubbio. Ed è una lezione amara. Il padre passava in auto, con la moglie e questo figlio, che si chiama Yamato, per una strada tra i monti, e a un certo punto blocca la vettura, scende e tira fuori il piccolo, perché, dirà in un primo momento, «faceva i capricci».  Mette il figlio sul limitare del bosco fittissimo di bambù, e se ne va. Non so se questo padre giapponese se ne renda conto (penso di sì), ma la lezione che vuole impartire al figlio è questa: «Tu devi meritare tuo padre e tua madre obbedendo e facendo il buono, ma non obbedisci e non fai il buono, perciò non li meriti e loro ti piantano, adesso arràngiati da solo». Ci sono popoli che educano i loro figli con severità. Per non andare tanto lontano, gli austriaci fanno così. E i tedeschi. E gli inglesi. Se guardiamo lontano, anche gli americani. Sono stato a pranzo in famiglie inglesi, e mi stupiva la separazione dei piccoli, che mangiavano in un tavolo separato. Ho un figlio in America, questo figlio ha due figli, e mi racconta che il primo, in età di scuola media, una volta in classe ha combinato non so che cosa, ed è stato tenuto in piedi per tutta la lezione in un angolo dell’aula dipinto di rosso. Tutto il resto dell’aula è verde. L’angolo rosso è la gogna. Ma si può mettere alla gogna un bambino? Sento, nelle spiagge italiane, come i tedeschi rimproverano i loro figli: con serietà, con gravità, con minaccia. A Stoccolma ho visto una madre zittire in metropolitana il figlio perché parlava, sia pure sottovoce. «Non si sente una parola, in questi paesi», mi fa mia moglie. «Sbagli – ho risposto –, se ascolti bene, senti dappertutto l’urlo di Munch». «Che ti pare della mia città?» mi ha chiesto il mio traduttore tedesco, accompagnandomi in giro per Berlino. Eravamo nella piazza dove le SS avevano bruciato i libri. «È una città elegante, rispettosa, educata, silenziosa» ho risposto. E lui ( Joachim Meinert): «Un tuo collega di Roma è stato più franco, ha risposto: Morta». Austriaci, tedeschi, giapponesi, inglesi, americani, sono popoli più disposti alla disciplina, al rispetto delle regole, e forse questi sono caratteri che dispongono anche alle capacità militari. All’obbedienza. «Qual è la maggior differenza tra voi italiani e noi tedeschi?» chiese il pubblico a uno scrittore italiano, Luciano De Crescenzo. Eravamo a Colonia. E lui rispose: «Voi obbedite troppo, noi obbediamo troppo poco». Non è una risposta sciocca. In ambedue gli atteggiamenti, troppo e troppo poco, c’è un errore. Quel bambino giapponese di 7 anni obbediva troppo poco. Ma non si può buttarlo fuori dall’auto e lasciare che si arrangi. Puoi rifiutargli un regalo, un giocattolo, un premio. Ma non puoi sottrargli te, padre, e te, madre. Dirgli: «Vattene fuori da solo. Ci sono gli orsi? Arràngiati». Questi genitori giapponesi l’han fatto, due genitori italiani non lo farebbero mai. Com’è andata? Il bambino s’è salvato, è salito in cima alla montagna, lontana 5 chilometri e alta 1.130 metri, sulla cima ha trovato un capannone militare con materassi e una fontana. Per una settimana sono stati in angoscia il Giappone e il mondo, Italia compresa. Dopo una settimana càpita nel capannone un sodato e trova il piccolo: salvo. Conclusione: il piccolo si mostra trionfante in tv alzando due dita in segno di vittoria, il padre si mostra inchinandosi profondamente e chiedendo scusa. Chi ha vinto? Il figlio. Chi ha imparato la lezione? Il padre. Quale lezione? Che l’amore paterno si dà anche ai figli cattivi. L’amore è un regalo.