Opinioni

Stati Uniti. Per colpa di Trump non si mangia più il tacchino insieme

Andrea Lavazza domenica 3 giugno 2018

Vent’anni fa, prima ancora dell’11 settembre, il sociologo Robert Putnam scoprì che gli americani «giocavano a bowling da soli», come recitava il titolo di un suo noto libro (in italiano reso con Capitale sociale e individualismo).

Oggi passano meno volentieri il giorno del Ringraziamento con chi ha un’opinione politica diversa dalla propria. Allora non esisteva il fenomeno smartphone, ma l’idea è che le reti e le relazioni vanno erodendosi perché prevalgono gli svaghi solitari, peggiorando, tra le altre cose, la qualità della democrazia. La vita politica americana nei due decenni successivi è stata certamente segnata da una polarizzazione e da una partigianeria che scoraggiano il confronto e il dialogo.

Ma se ciò risulta facilmente verificabile sui media, a livello delle relazioni quotidiane è assai difficile da rilevare e, ancora più, da quantificare. Ci hanno ora provato due ricercatori di due università della costa occidentale, grazie alla potenza dei big data (e con un inquietante risvolto circa la privacy). Keith Chen e Ryne Rohla, sulla base della propria esperienza personale, pensavano che pure le occasioni conviviali siano influenzate dall’incattivimento del dibattito pubblico. Si sono rivolti quindi a una società che raccoglie dai gestori, in forma anonima (così dichiara), i dati di geolocalizzazione di milioni di telefoni cellulari. In questo modo è possibile capire dove si trovano le persone in un dato momento. Se qualcuno sta nello stesso luogo dall’una alle quattro di notte per tre settimane consecutive, si può ben ipotizzare che quella sia la sua casa.

Individuate 6 milioni di abitazioni, gli studiosi hanno tracciato gli spostamenti da una casa all’altra concentrandosi nelle ore del pranzo di Thanksgiving del 2016, sedici giorni dopo il successo di Donald Trump alle presidenziali. Incrociando l’esito elettorale nella circoscrizione in cui si trova una singola abitazione considerata e nella circoscrizione di provenienza dei partecipanti alla festa, Chen e Rohla hanno ottenuto risultati assai interessanti.

La premessa è che nelle circoscrizioni, molto piccole, il voto è piuttosto omogeneo (ovvero vi sono fortissime maggioranze a favore dei repubblicani o dei democratici), pertanto sui grandi numeri si può scommettere con buona affidabilità che chi abita in quella circoscrizione abbia quell’orientamento partitico. E ciò vale anche per chi si muove. L’esito è che i pranzi in cui gli ospiti arrivavano da circoscrizioni di colore politico diverso rispetto ai padroni di casa sono durati in media dai 30 ai 50 minuti in meno (su un periodo di 4 ore) rispetto a quelle in cui i partecipanti provenivano da zone con voto simile. Introducendo la variabile di aree in cui la campagna elettorale era stata particolarmente accesa, si ottiene un’ulteriore diminuzione del tempo passato insieme.

Insomma, stare a tavola con chi la pensa diversamente è meno piacevole: meglio mangiare in fretta il tacchino che ascoltare idee progressiste se si è conservatori, o idee conservatrici se si è progressisti. Se ne deduce che in America (ma probabilmente, pur senza il supporto di uno studio ad hoc, anche da noi) si faccia più fatica a considerare l’altra campana. La brillante ricerca, pubblicata su Science, apre dunque uno scenario inquietante sulla degenerazione del clima politico, certo da confermare e approfondire. Lo stesso studio, tuttavia, può anche allarmare per il controllo capillare delle nostre esistenze che le attuali tecnologie permettono. E del quale siamo per la maggior parte ignari.