Stragi, gelidi calcoli, disumanizzazioni. L'alt alle armi è l'aiuto giusto
All’inizio dell’invasione russa in Ucraina, l’attenzione che l’Europa finalmente dedicava a un conflitto – dall’indignazione per le vittime civili alla mobilitazione per accogliere i tanti profughi in fuga dagli scontri – era sembrata un risveglio positivo. Per anni e anni noi europei abbiamo guardato distrattamente, senza vederli veramente, le decine e decine di conflitti che insanguinano il pianeta e che ieri Lucia Capuzzi ha ancora una volta richiamato su queste stesse pagine («In un mondo da sempre in conflitto la pace spunta lo stesso in tre Paesi»).
Ci siamo chiusi a riccio rifiutando asilo anche a donne e bambini disperati, lasciati al gelo lungo quelle stesse frontiere che ora si sono giustamente aperte per le famiglie ucraine. Abbiamo fatto poco – troppo poco e per troppo tempo – per spingere a una tregua le fazioni che si scontrano in Africa, in Medio Oriente, in Asia e, in forma diversa e non meno grave, in America Latina. Ma ora, sempre più chiaramente, si notano tendenze a uno scivolamento verso visioni manichee che suonano estremamente pericolose.
Da un lato, c’è la polarizzazione fra diritto alla difesa e diritto alla pace che banalizza, o peggio criminalizza, il tentativo di far comprendere come lo strumento militare, che gli Stati hanno il diritto di usare per difendersi, non possa mai essere un fine, ma solo un ben proporzionato mezzo, teso a evitare lo scoppio stesso dei conflitti o a spingere alla pace il prima possibile. Ma è un mezzo che si deve cercare di non usare mai.
Dall’altro lato, emerge una strana e inaccettabile fascinazione per la guerra stessa. Giustamente si documentano e denunciano gli orrori che le forze armate russe stanno compiendo, ma allo stesso tempo ci si esalta per la resistenza ucraina, si mobilitano volontari, mentre i nostri media raccontano a volte con trasporto quanti «soldati del nemico» siano stati uccisi. Dimenticando che spesso si tratta di giovani reclute strappate dalle lontane regioni periferiche dell’immenso retroterra russo, carne da cannone buttata all’attacco da un crudele autocrate e dalla sua corte di sicofanti.
Per essere chiari, ancora una volta, abbiamo chiaro che in questo conflitto vi è un aggressore e un aggredito. E che chi subisce l’attacco ha tutto il diritto di difendersi e di essere aiutato nella difesa. Ma non possiamo neppure scordare come ogni conflitto sia una ininterrotta scia di sangue, di violenza che si abbatte soprattutto sui civili indifesi. Che gli orrori non avvengono mai da una sola parte e che "guerra" significa sempre e solo sangue, lacrime, morte, fame. Non vi è nulla di affascinante nello scontro militare. E in esso non c’è nient’altro che l’orrore di esseri umani che uccidono altri esseri umani. Il nostro imperativo di europei, è, sì, quello di aiutare l’Ucraina, ma al fine di fermare la guerra il prima possibile.
Non per 'regolare i conti' con la Russia, per piegarla e marginalizzarla nel sistema internazionale. E nemmeno per disumanizzare i suoi abitanti: «Combattiamo contro invasori che non hanno più nulla di umano», ha detto il presidente Zelensky. Non è così, perché sono infiniti i conflitti anche contemporanei che mostrano gli stessi orrori traumatizzanti di Bucha, di Kramatorsk, di Mariupol... Sono gli esseri umani che fanno le guerre, non i mostri. Ed è compito di tutte le donne e di tutti gli uomini cercare ogni mezzo per arrivare a una tregua. Primo passo verso una pace vera.
Per colpire economicamente la Russia, ci si affanna a cercare fornitori di energia alternativi bussando a governi che praticano abitualmente la tortura, reprimono il dissenso, o che sono stati coinvolti in altri conflitti regionali. Si progetta l’invio crescente di armamenti – ed è chiaro che per qualcuno l’obiettivo è 'impantanare' Mosca, prolungando la guerra – e si parla sempre più della possibilità che l’Ucraina vinca militarmente, rendendo più flebili le voci e i tentativi di far tacere le armi e trovare le strade per un accordo. Come se vi fosse un che di sinistramente affascinante, di romanticamente eroico nella guerra. Ma i tanti morti, i bambini che non cresceranno mai, i giovani ancora adolescenti di entrambi gli schieramenti uccisi nella loro divisa, gli orfani, le distruzioni immani, le famiglie sradicate dalle loro case distrutte ci riportano alla dura, cruda, brutale realtà.
Non c’è nulla nella guerra che giustifichi il nostro incantamento e il nostro incitamento. Riserviamoli per la pace, quando riusciremo a farla sbocciare.