Indignazione. L'«alpinità» è un'altra storia: ricordarlo e dimostrarlo
Indignazione, amarezza, desiderio di riscatto. Sono i sentimenti che si agitano in queste ore nel cuore di ogni alpino – di ogni alpino autentico e consapevole della propria identità – dopo tutte le notizie sulle molestie e le polemiche che hanno 'sporcato' l’Adunata di Rimini della scorsa domenica. L’indignazione nasce dalla riproposizione dei luoghi comuni più stucchevoli sulla figura dell’alpino, costruendo un mosaico folkloristico di nostalgie giovanilistiche, sagre della castagna e passatempi alcolici con una spruzzata di altruismo, ma anche – secondo alcuni – un’insopportabile tendenza al maschilismo becero, molestatore volgare e addirittura abusante seriale. Ebbene, diciamolo con forza, e – si spera – una volta per tutte.
Nella cultura, nelle tradizioni e nella prassi alpina – quella che tutte le penne nere hanno respirato nei reparti e poi hanno visto confermata nelle associazioni – non c’è nulla di tutto questo.
La scelta della pace, il rispetto dei più deboli, il senso del sacrificio, l’esercizio della dignità come dovere collettivo e costume personale, la spinta verso l’impegno solidale come scelta di vita, ma anche la spiritualità che nasce dalla contemplazione serena e grata della natura, sono valori che fanno parte del dna alpino. O questi valori esistono, sono condivisi e vengono concretizzati nella quotidianità, oppure non si può parlare di alpinità, non si può portare il cappello con la penna nera, non ci si può dire alpini, non si può sfilare a un’adunata nazionale che è sintesi efficace e potente di tutto questo mondo, antico e modernissimo insieme, che parla di giustizia, serietà, correttezza, attaccamento alle tradizioni che contano e – ormai consegnati alla storia i miti controversi delle guerre mondiali – servono a costruire una società più amichevole, sorridente e solidale.
Ecco perché di fronte agli episodi di abusi sessuali denunciati da donne e ragazze a Rimini, tutti gli alpini autentici devono sentirsi profondamene offesi e pretendere chiarezza e rigore. Chiarezza per chiedere che sia accertato senz’ombra di dubbio tutto quanto raccontato e raccolto dalle associazioni femministe. Intendiamoci, non c’è alcun motivo di dubitare. I racconti precisi e circostanziati, le parole irripetibili, i gesti ignobili riferiti in ogni particolare da tante ragazze, rattristano e indignano. Tanto più se, come è stato raccontato e poi anche come denunciato alle forze dell’ordine, quel campionario di volgarità e di offese pesanti alla dignità femminile è davvero arrivato da cinquantenni e sessantenni, forse padri, forse nonni, a cui evidentemente inconsapevolezza, fragile umanità e qualche bicchiere di troppo hanno provocato un’amnesia, speriamo episodica, del rispetto dovuto a ogni donna e che, certo, loro stessi esigono per le proprie mogli, figlie, nipoti.
Proprio da qui si giustifica l’appello al rigore. Di fronte al rischio concreto che le denunce contro ignoti finiscano per essere archiviate senza produrre conseguenze – e sarebbe l’esito peggiore per ogni alpino degno di questo nome – l’Ana (Associazione nazionale alpini) scelga di mettere da parte qualsiasi corporativismo e per prima si attivi per identificare e denunciare i colpevoli di questi vergognosi episodi. Quei sedicenti alpini che hanno infangato, oltre alla propria dignità personale, anche la storia e la tradizione del Corpo e dell’Associazione, sono presenze ingombranti e sgradite per tutte le penne nere. E vanno denunciati perché serve un gesto di coraggio e di verità.
Anche perché il cameratismo – che ieri qualche commentatore che ignora il significato e la sostanza delle parole ha confuso con il 'nonnismo' – con la difesa di consuetudini deteriori da caserma, che rappresentano soltanto l’incrostazione sgradita di una 'sostanza alpina' ben più nobile e importante. È urgente, insomma, dimostrare che il senso più profondo dell’alpinità si nutre non solo di rispetto, di ammirazione e di simpatia per tutti e tutte, ma anche di giustizia. Solidi e solidali e mai violenti e sopraffattori, così sono fatti gli alpini. E così, di nuovo, devono dimostrare di essere.