Dell’Africa si continua a parlare poco e male. A meno che non si verifichino attentati perpetrati dai famigerati Boko Haram in Nigeria o esecuzioni di cristiani in Libia, la cronaca di questo continente – grande tre volte l’Europa – continua a rimanere nel dimenticatoio. Lo stesso ragionamento vale per l’epidemia del virus Ebola. Poiché da qualche mese a questa parte non sono stati registrati casi che coinvolgono occidentali, il dramma che attanaglia ancora oggi Paesi come la Sierra Leone e la Guinea non fa notizia. Eppure, mai come oggi, è necessario, non solo affermare la dignità dei popoli africani, ma anche e soprattutto il grande dinamismo del continente. Al di là della retorica, l’Africa sta davvero cambiando. È questo il messaggio forte che è stato lanciato ieri, durante i lavori di un convegno internazionale, promosso dai missionari comboniani in occasione del 150mo anniversario della pubblicazione del Piano di Rigenerazione dell’Africa del santo Daniele Comboni. D’altronde, come scriveva Plinio il Vecchio, «Ex Africa semper aliquid novi», a significare che dall’Africa infatti arriva sempre qualche sorpresa. Oggi, la geopolitica africana sta subendo continue trasformazioni. E lo stesso ragionamento riguarda l’economia. Un recente studio di Goldman Sachs sulle previsioni di crescita di lungo termine stima una crescita annua media del Pil del 5% per i prossimi 10 anni. Nel frattempo, nella maggioranza dei Paesi africani vi è una fioritura di associazioni, gruppi e movimenti che esprimono la determinazione della società civile di lottare contro l’esclusione che penalizza i ceti meno abbienti. Anche perché i dati positivi sulla crescita dell’economia africana vanno comunque interpretati e per certi versi presi con beneficio d’inventario. A volte, anche solo far emergere una parte dell’economia informale africana, per così dire 'tracciandola' e registrandola all’interno degli scambi economici di questo o quel Paese, si traduce in un consistente aumento del Pil. La semplice misurazione della crescita, tuttavia, non dice assolutamente nulla rispetto a quella che è la sua reale distribuzione. Occorre dunque andare al di là della solita diatriba che radicalizza il confronto tra gli analisti internazionali: l’afro-pessimismo e l’afroottimismo. Serve, invece, privilegiare l’afro-realismo, facendo tesoro non solo dei saperi delle scienze, ma anche del vissuto della gente, della società civile e delle Chiese. Lo hanno affermato i relatori che hanno preso parte al convegno, tra i quali il cardinal Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Justitia et Pax, e Samia Nkrumah, parlamentare ghanese e figlia di Nkwame, uno dei padri del panafricanesimo. Per non parlare di Martin Nkafu Nkemnkia della Pontificia Università Lateranense o della parlamentare europea Cécile Kyenge. Nel corso dei lavori, si è parlato ampiamente di molti temi di grande attualità, tra i quali migrazione e cooperazione allo sviluppo. Se da una parte è chiaro che è penoso assistere alla mattanza di vite umane, molte delle quali d’origine africana, che si verifica da lungo tempo nel Mediterraneo, dall’altra è necessario riaffermare il primato della politica. Anche perché la lotta al terrorismo non può prescindere da una decisa comunione d’intenti delle cancellerie che purtroppo, nel caso dell’Unione Europea, a volte assumono indirizzi non sempre coincidenti. Col risultato che le decisioni subiscono ritardi e non sembrano affatto contrastare quei Paesi che, dietro le quinte, foraggiano il jihadismo, come nel caso della Libia. Nel contesto generale della globalizzazione, il dialogo politico-istituzionale tra Europa e Africa non può prescindere dal superamento dei nazionalismi e dal confronto culturale. Per questo motivo, due autorevoli esponenti della cooperazione, Mario Raffaelli (Amref) e Alfredo Mantica (Avsi) hanno espresso rammarico per la chiusura dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (Isiao). La conoscenza, infatti, è davvero la prima forma di solidarietà e il modo più efficace per vincere il pregiudizio.