Opinioni

La «Lumen fidei» e quella parola che ricorre ben 16 volte. La fede è «sguardo»​

Michele Giulio Masciarelli venerdì 9 agosto 2013
Il secolo XX e il brano di anni che seguono hanno conosciuto due sbandate culturali: la prima è la concezione dell’aggregarsi umano in senso massivo che ha avuto la reazione critica di tanti intellettuali, fra i quali Simone Weil, Hannah Arendt, Edith Stein; la seconda è il progressivo rattrappirsi dell’idea di uomo dentro le strettoie dell’individualismo, contro cui ha esercitato la sua severa analisi Benedetto XVI. Il magistero cattolico, da parte sua, ha invece coniugato comunione e singolarità.Anche la Lumen fidei<+tondo> compie tale sintesi fra queste due genialità cristiane.
Papa Bergoglio accentua il rapporto singolarità-fede (cfr. nn. 14, 22, 25, 34, 39), ricordando che la perdita della singolarità è uno dei pericoli cristiani (cfr. Karl Rahner, Pericoli nel cattolicesimo d’oggi, Roma 1961). Francesco, in modo marcato, mostra però il filo forte che lega fede e dimensione ecclesiale (cfr. nn. 12-14, 22, 37-49). La Lumen fidei afferma: «L’esistenza credente diventa esistenza ecclesiale» (n. 22). I cristiani non possono dire "io credo" e finirla qui. Veramente, nulla può dirsi solo al singolare nel cristianesimo, neppure "io spero" e "io amo". Il Papa sottolinea: «I cristiani sono "uno" (Gal 3,28), senza perdere la loro individualità, e nel servizio agli altri ognuno guadagna fino in fondo il proprio essere» (n. 22). L’ecclesialità la si vede spesso come un alcunché di aggiunto, quasi una forma decorativa sia rispetto al cristianesimo (si ricordi la pretesa più volte avanzata di un cristianesimo a-ecclesiale, contro cui papa Bergoglio ha fatto sentire il suo disappunto), sia rispetto alla fede. E ora ribadisce: «La fede ha una forma necessariamente ecclesiale» (n. 22).
La fede si diffonde da comunità a comunità cristiana. Si tratta di una traditio lampadis, per usare una parola di Comenio. «La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi» (n. 37). Un pedagogista, Carl Rogers, insegnava che i valori si trasmettono per "congruenza", per contagio, proprio come dice Bergoglio per la fede: «La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma» (n. 37). In concreto, s’espande con i sacramenti, specie col battesimo (cfr. nn. 41-43), con la preghiera e la vita morale (cfr. n. 40).
Originale è la Lumen fidei quando, in contesto di fede, parla di "sguardo", parola che vi ricorre sedici volte. Fra l’altro, il Papa parla di fede e amore che permettono lo «sguardo del futuro» (n. 4), del fatto che all’interno dell’esperienza di fede, «nell’incontro con gli altri lo sguardo si apre verso una verità più grande di noi stessi» (n. 14). Inoltre afferma che «nell’ora della Croce [è situato] il momento culminante dello sguardo di fede» (n. 16); definisce «la fede [...] come un cammino dello sguardo» (n. 30) e, infine, asserisce: «Confessando la stessa fede poggiamo sulla stessa roccia, […] irradiamo un’unica luce e abbiamo un unico sguardo per penetrare la realtà» (n. 47).
Uno dei bei lasciti della Lumen fidei è proprio il modo con cui Francesco vi modula il tema dello sguardo di fede. È una sua vera prospettiva pastorale. Nell’<+corsivo>Omelia<+tondo> nel Santuario di Aparecida ha esortato: «Abbiamo uno sguardo positivo sulla realtà» (Mercoledì, 24 luglio 2013). Egli chiede di avere uno sguardo prospettico nei confronti dell’uomo contemporaneo: si tratta d’imparare l’arte di vederlo nel suo mondo aggiungendo alle due dimensioni piatte (l’orizzontale e la verticale) una terza, quella della "profondità". La prospettiva è una rivoluzione che è avvenuta nella pittura da oltre cinque secoli, ma la Lumen fidei ci chiede di adottarla oggi nella missione e nella pastorale.