Conclusa l’opera redentrice di Gesù sulla terra, con la Pentecoste ha inizio la conversione dei popoli al Vangelo per impulso dello Spirito Santo. Le grandi festività, le ricorrenze cristiane più preziose hanno significati sempre nuovi nel corso del tempo, nei momenti più difficili e in quelli costruttivi. La discesa dello Spirito Santo nella Pentecoste non ha cambiato i fatti della storia, ma ha permesso di leggerli in una nuova luce, ha trasformato gli apostoli, li ha resi capaci di agire nella storia per cambiarla, elevando l’uomo alla dimensione spirituale. La Pentecoste costituisce un grande evento di libertà, perché apre la porta al discernimento del bene dal male, e più volte Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ricordato che il mondo, allontanandosi da quella luce, si trova come in un cono d’ombra, ove si offusca l’orizzonte etico necessario allo sviluppo dell’uomo, ma il loro magistero ha ricevuto critiche quasi fosse intriso di pessimismo. È vero il contrario, perché l’Occidente e l’Europa si trovano oggi nel pieno di un esame di coscienza che coinvolge scelte sbagliate, registra la caduta di fiducia in un progresso continuo, in un futuro di speranze e prospettive.
L’esame di coscienza è di tutto l’Occidente, e l’Italia ha motivi specifici per uno smarrimento così grande. Il cuore dello smarrimento sembra il governo dell’economia, ma la caduta di fiducia coinvolge la capacità di saperci governare, di essere solidali. Ci accorgiamo che l’uomo resta capace di fare il male come in passato, praticare un terrorismo che assume volto politico o semplicemente disumano, decidere chi debba vivere e chi debba morire durante e dopo la procreazione. Il primo passo della nuova nascita, ispirata dalla Pentecoste, è quello di saper guardare dentro se stessi, come fecero gli Apostoli uniti in preghiera a Gerusalemme, di «riconoscere le vie della vita » (
Atti 2,28), di seguire quei princìpi che governano le attività umane indirizzandole al bene. Sembrano parole dirette ai cristiani, invece riguardano tutti. L’errore più grande che potremmo commettere è di ritenere che non appena si avrà una schiarita nella crisi economica cesserà l’ansia che ci tormenta.
In realtà, la crisi economica è l’effetto, non la causa di una più generale crisi morale. Attuare rigorose misure non basta, se non si imprime uno sviluppo che veda nella sobrietà non l’illusione di un momento, ma un modo d’essere che plasmi i rapporti tra i gruppi sociali. Ottenere la fiducia temporanea dei mercati non è sufficiente se non si sconfigge la speculazione finanziaria giunta a livelli internazionali devastanti, e non si rapportano le economie dei Paesi occidentali ai bisogni dei Paesi poveri che non possono più essere ignorati e compressi. C’è oggi un rinnovato interesse verso la dottrina sociale della Chiesa, ci sono governanti che riconoscono che tante sue indicazioni hanno rivelato una validità e una capacità di previsione superiore a quella di importanti scuole di pensiero economico. Però, non si tratta di una capacità di previsione di tipo tecnico, affonda le radici in una lungimiranza antropologica che pone altri interrogativi.
Può rovesciarsi la logica economica di dominio se non si realizza un cambiamento radicale della coscienza etica. Si può essere solidali in economia e individualisti nella vita privata e sociale, si possono tutelare i più deboli e abbandonare a se stesso, o colpire definitivamente, chi non può neanche difendersi, con leggi e usi favorevoli all’aborto, all’eutanasia, alla svalutazione della famiglia, all’esaltazione delle scelte egoistiche. Questi interrogativi sono davanti alle società più ricche (se così possono ancora chiamarsi), e avranno risposta a seconda dell’ottica nella quale ci si porrà.
Cattolici e cristiani di diverse denominazioni, credenti e no, sono impegnati per diffondere una visione umanistica e solidale dell’uomo, una concezione buona della vita; favorire un impegno esaltante, che i giovani apprezzano più di altri e tanti adulti stanno oggi rivalutando. Non è un impegno facile, ma scaturisce da un fuoco che ci è donato, da una luce che aiuta a guardare in modo giusto alla società, che spinge a credere che l’uomo può crescere solo se ciascuno è di aiuto all’altro, se la famiglia riesce a coltivare valori essenziali per le nuove generazioni, se la scuola prosegue nell’opera educativa dei giovani.
A volte, nei momenti più difficili, queste verità ci appaiono chiare e limpide, poi si offuscano in una quotidianità che torna ad essere opaca, piegata in se stessa. La luce che a Gerusalemme scese sugli Apostoli, e dette avvio all’unificazione del genere umano, oggi chiede di vivere e realizzare quel senso di solidarietà che unisce gli uomini e non può escluderne nessuno, piccolo, povero o emarginato che sia.