Prostituzione, sentenza della Consulta/1. La vittima resta vittima
La legge Merlin resta in vigore tutta intera, anche per il mercato del sesso "libero-professionale" delle escort, disponibili e prenotabili. La decisione della Corte costituzionale è netta: reclutare, agevolare, favorire la prostituzione resta un delitto anche oggi, come 60 anni fa.
E la prostituta ne è vittima, diciamolo subito, a scanso di equivoci: l’oggetto del divieto penale non è la sua condotta, costretta o libera che sia, forzata o intraprendente, pur sempre toccata da stigma sociale di sprezzo (o di pietà) per il "turpe mestiere", ma l’attività altrui che l’attornia e che come una rete ne impania la vita, o un segmento di vita, con differenti gravità di figure criminose, dalla tratta schiavizzante al lenocinio alla mera agevolazione di una scelta predecisa.
La legge è dunque rimasta ferma, anzi salda. Ma il dibattito ha smosso tanti problemi che meritano altro profondo scandaglio rispetto alla sociologia dei mutamenti del costume dall’epoca delle "case chiuse" a oggi. Il motivo dominante del dubbio sollevato sull’incriminazione del reclutamento e del favoreggiamento della prostituzione è stato infatti una parola – l’autodeterminazione – divenuta più che uno slogan un vortice del pensiero. Se decidi di prostituirti ne hai libertà; di più, ne hai diritto; anzi tale diritto fa parte dei diritti inviolabili protetti dall’art. 2 della Costituzione: così si è andati dicendo. Che senso avrebbe, dunque, punire chi aiuta un altro a realizzare una sua libertà, un suo diritto? Non si è forse aperto uno spiraglio analogo, seppure ancora incerto, in tema di suicidio? (Anche questo s’è udito nell’aula).
Forse un giorno il consumo personale di droga, che la legge dice non punibile, sarà pensato come libero-diritto siccome autodeterminato, e la sua agevolazione un fatto indifferente? C’è nella libertà umana una tensione che ne esprime la potenzialità di bene e di male, e la pone al bivio tra l’acqua e il fuoco. Tutto è libero, ma non tutto conviene. La legge potrebbe far tutto lecito, ma «non omne quod licet honestum est» (non tutto ciò che è legale è onesto). Onesto ha la stessa radice dell’onore, cioè punta dritto alla dignità umana. Essa è offesa da ciò che la 'disonora'. La prostituzione, in senso oggettivo, come fenomeno storico di sfregio della dignità delle sue vittime, disonora l’umanità. Se forzata, dà il raccapriccio della schiavitù. Se volontaria gronda comunque dolore (ma c’è chi dall’esperienza di aiuto sociale sostiene che non vi è altra genesi se non schiavizzante). Si dovrebbe dunque risalire alla radice di ogni storia di vita, ascoltare le narrazioni del cammino (o del precipizio) lungo il quale le tante Filumene si sono 'determinate'; e intendere infine che il grido di libertà che si sprigiona dal monte-dolore delle mille vittime non è solo d’esser libere dalla lettera scarlatta, libere dallo stigma sociale, ma è di essere liberate dalla violenza predatoria dei 'consumatori finali', motore del mercato del corpo e dell’umiliazione dell’anima. Il nocciolo giuridico è qui: la prostituzione libera e volontaria è lecita, dice la legge, ma resta un disvalore sociale, una ferita alla dignità della persona; la ragione che fa delitto favorirla sta qui. Non solo per i lenoni, i prosseneti, ma anche per gli agenti, i procacciatori. L’escort, fosse pure la scaltra imprenditrice del suo corpo a nolo, resta una vittima. Derubata.