Il direttore risponde. La vita, la «nebulosa». E lo stile
Raffaele Ferro
Svuotato, riempito… Che linguaggio, gentile signore. Se questa è profonda e scintillante razionalità, mi tengo ben stretta la mia. Ho grande rispetto per norcini e architetti, ma ancor più per gli esseri umani tout court. E un embrione di uomo o di donna non è una salsiccia, e nemmeno un progetto di carta. Da padre di famiglia, poi, so – anche se magari le sembrerà pure questo superficiale e un po’ arrogante – che con i bambini, con tutti i bambini, e soprattutto con quelli più deboli e diversi e vulnerabili, non c’è niente altro "da fare" che accettarli e amarli, con responsabilità e tenerezza. Non possono essere usati, in concreto e neanche a fini astrattamente polemici. Considero, inoltre, disumani tutti i tipi di "selezione" tra buoni e malati, utili e inutili, giusti e sbagliati. E questo sia prima sia dopo la nascita.Non so, gentile signore, se secondo il suo metro le sembrerà un’affermazione sufficientemente «razionale» o almeno «patetica», ma un piccolo essere – embrione o feto o bambino – non è in nessun momento mero "contenitore" di Dna o di ossa e carne, e neanche dei desideri di chi lo ha generato. Maternità, paternità e figliolanza sono relazioni che non hanno origini puramente meccaniche e che, anzi, hanno spesso una potente valenza spirituale (non siamo soltanto noi cristiani a saperlo). Eppure, sul piano biologico come su quello psicologico, non prescindono dalla capacità d’incontro e d’amore tra una donna, un uomo e un irriducibilmente altro da loro. Anche per questo credo che maternità, paternità e figliolanza non dovrebbero avere mai a che fare con provette e altre manovre di laboratorio.Quanto alla presunta arroganza del signor Mignozzetti, nella lettera che abbiamo pubblicato venivano inanellati pensieri precisi di coloro che lei definisce una «caterva di illustri». Il nostro lettore non ha inventato alcunché, ha messo in fila frasi. Scripta manent. E rimane pure la speranza che sia qualcuno degli «illustri» a scoprirsi a disagio e dica, dunque, qualcosa che diradi quella coltre greve che chiamo la "nebulosa senza vita". PS Ieri mattina nel corso di Prima Pagina, la bella rassegna stampa di Radiotre, un ottimo collega, il direttore del Sole24Ore, ci ha amabilmente rimbrottati per il titolo e l’articolo (edizione di ieri, 21 ottobre) con i quali avremmo «arruolato» nel fronte anti-aborto Susan Boyle, donna coraggiosa e splendida voce di questo inizio di millennio. Ci ha fatto notare che questo "non si fa": sarebbe un’esagerazione, una caduta di stile. Con la stessa amabilità faccio notare io al collega che abbiamo semplicemente dato conto di ciò che "SuBo" ha raccontato in una recentissima biografia "The woman I was born to be" (La donna che dovevo essere): la consapevolezza di esserci nonostante le sue proprie imperfezioni, che secondo i medici la rendevano "selezionabile" e, dunque, rifiutabile. Indegna di nascere perché destinata alla infelicità e di infelicità portatrice. Sua madre ha tenuto duro e lei, nona figlia «a rischio», c’è ed è quello che è: irrisa, grande, ora anche applaudita. Felicemente viva. Farlo sapere forse non è di moda, ma è certo importante. E soprattutto è vero. La verità che fa riflettere – e che non viene censurata in nome del politicamente corretto – è lo stile di Avvenire.