Non lasciamo sole le madri in attesa. La vita ci chiede di essere accolta
Caro direttore,
l’editoriale di don Maurizio Patriciello pubblicato su 'Avvenire' di sabato 13 maggio 2017 ci ha colpito come un colpo nello stomaco mentre era in corso il Consiglio direttivo del Movimento per la Vita italiano. Non che si trattasse di qualcosa di nuovo: i problemi economici (la mancanza di lavoro, in primis) sono una delle cause principali di interruzione della gravidanza e i Centri di aiuto alla vita sono nati proprio per aiutare le gestanti in difficoltà.
Certamente, anche quelle che abortiscono per paura di possibili malformazioni nel nascituro, e oggetto spesso di terrorismo psicologico. Certamente anche quelle lasciate sole da chi le aveva messe incinte, o spinte all’aborto dagli stessi genitori; ma anche e soprattutto quelle a cui basta talora una mano tesa per dire sì alla vita. Per questo scopo è nato anche Progetto Gemma, che ogni anno raccoglie 2-3 milioni di euro per adottare per 18 mesi, prima e dopo il parto, 800-1000 gestanti, poi mamme, e i bambini che portano in grembo. Per le volontarie dei Cav storie come quelle di Alfio e Antonella sono purtroppo ordinaria amministrazione, problemi che danno senso all’impegno di ogni giorno. Malgrado questa quotidianità non possa mai generare in noi l’abitudine, la riflessione-appello di don Patriciello ci ha sconvolti per la forza con cui ha posto il problema e per l’evidenza della nostra debolezza nel rispondere. Aiutiamo ogni anno decine di migliaia di famiglie.
Aiutiamo 10-12 mila donne all’anno a dire sì alla vita. Vorremmo poter dare anche opportunità di lavoro, ma non siamo in grado purtroppo di farlo. Prevenire l’aborto causato da motivi economici dovrebbe essere interesse dello Stato, tanto più di uno Stato afflitto dalla denatalità. Lo dice la stessa legge 194, la quale aveva persino previsto fondi per proporre soluzioni alternative alle donne tentate dall’aborto. Fondi destinati a questa finalità specifica, ma dispersi presto nei rivoli indistinti della sanità regionale, come ha ammesso il ministro della Salute in risposta a una mia interrogazione parlamentare. Che fare dunque? Da subito mettiamo a disposizione di questa coppia i fondi di un Progetto Gemma. Il Consiglio ha inoltre deciso di trovare i fondi per incrementare l’importo, portandolo a 6.000 euro complessivi. A questi si possono aggiungere gli 800 euro del nuovo bonus mamme. Abbiamo inoltre sollecitato le nostre realtà della Campania ad attivarsi alla ricerca di un qualunque lavoro. Ad Alfio e Antonella chiediamo di darci tempo per intervenire, per evitare al bambino una fine crudele e a loro stessi la sofferenza che ne seguirà, inevitabilmente. Speriamo infatti di riuscire a dare loro, insieme alla certezza di un aiuto immediato, anche la risposta di lungo periodo da loro attesa. Tuttavia, se anche non riuscissimo in questa impresa, gli chiediamo comunque di non compiere scelte irreparabili. Non spengano la speranza. Non soffochino la vita da loro stessi generata.
La legge italiana consente il parto in anonimato. Salvino almeno così la loro creatura, dandole un futuro. Potranno non riconoscere il bambino, nella certezza che qualcuno in grado di amarlo se ne prenderà cura. Cogliamo questa occasione per chiedere alla nostra Chiesa di potenziare Telefono Rosso. Con una cifra modesta si potrebbe dare il conforto di una risposta scientificamente ineccepibile sui reali rischi malformativi che corre il nascituro, evitando paure immotivate alle loro mamme, aiutandole a compiere una scelta non animata da fantasmi. Infine, mentre ringraziamo don Maurizio per la sua denuncia, chiediamo alle autorità regionali e nazionali di raccogliere il grido di dolore di tante donne in trepidante attesa. Se solo alla maternità si assicurassero le stesse energie e le stesse somme spese nel garantire l’interruzione volontaria della gravidanza, l’Italia sarebbe un Paese più felice e migliore.
*presidente del Movimento per la Vita Italiano