La via sinodale della Chiesa italiana. Un cammino di comunità
Dopo cinque anni, la Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi e questo processo sarà una vera catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione del cammino da compiere in questo Sinodo. È il momento di riprendere questo processo e di cominciare a camminare». Rileggendo le parole di papa Francesco all’udienza concessa sabato 30 gennaio ai partecipanti all’incontro promosso dall’Ufficio catechistico nazionale della Cei, ho ripensato all’immagine conciliare della Chiesa «popolo di Dio in cammino». Una Chiesa che si muove insieme, che si fa prossima, che ascolta. Una Chiesa in cui la vera autorità è quella del servizio e che fa proprie, con affettuosa condivisione, le gioie e le speranze, i dolori e le angosce della famiglia umana.
Le parole del Pontefice sollecitano e sostengono proprio questo movimento. Perciò siamo chiamati a una nuova responsabilità, da vivere con apertura di spirito e gioia che si rinnova e si comunica, avendo come riferimento l’Evangelii gaudium che va considerata una sorta di magna charta del nostro agire ecclesiale.
Quindi tornare a Firenze non è un cammino a ritroso; non è una tappa indietro rispetto a un percorso intrapreso; non è semplice memoria di un evento. È qui che risiede lo scatto in avanti domandato a tutta la Chiesa italiana da papa Francesco. A Firenze c’è stata l’intuizione: non vogliamo, non possiamo e non dobbiamo soffocarla o tradirla. È vero: sono passati cinque anni. Forse, come spesso succede nella vita, gli avvenimenti ci hanno travolto – e l’attuale emergenza sanitaria, in tal senso, insegna tantissimo –, ma adesso è tempo di avviare questo processo dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, con il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio e, in particolare, dei laici.
Ce lo domanda questo momento storico particolare, in cui ci troviamo disorientati davanti alle tante fratture acuite dal coronavirus. Eppure non siamo immobili. Almeno, stiamo cercando di non esserlo. Va in questa direzione la scelta di dedicare la prossima Assemblea Generale – che speriamo si possa tenere 'in presenza' a maggio – al tema dell’annuncio. L’ascolto attento di questo tempo esige servizio e comunione. È lo stile sinodale che coinvolge i vari organismi (i Consigli pastorali, i Collegi di consultori, i Consigli presbiterali...) per arrivare poi agli eventi.
In questo percorso ci sostiene un pensiero di un mio predecessore alla presidenza della Cei, il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero, a conclusione del secondo Convegno ecclesiale nazionale (Loreto, 9-13 aprile 1985). Questo appuntamento, diceva, «ha rivelato uno stile di vita ecclesiale.
Perché non dirci allora che convenire tutti insieme è stile di vita ecclesiale e che questi Convegni vogliamo viverli non soltanto come circostanze propizie per dir qualcosa e fare qualcosa, ma come dimensioni essenziali della vita della Chiesa? Una comunità che non s’incontra non è comunità. Perciò dico che la Chiesa italiana sta imparando a convenire, a riunirsi a Convegno. Sono molti i modi di convenire.
Ce ne sono alcuni solenni, vorrei dire storici: sono i grandi Concili della Chiesa. Poi ci sono i Sinodi, come ci sono pure incontri richiesti dalle varie istanze delle Chiese locali. Ma anche il convenire in questo modo, in cui la dimensione di popolo, la dimensione plenaria e organica della comunità emerge e si esplicita, è una acquisizione che arricchisce l’esperienza di Chiesa».
Siamo consapevoli, come pastori delle nostre Chiese, che la vitalità delle comunità, provata dalla pandemia, ha bisogno di essere rigenerata. Adulti, anziani, giovani, ragazzi, presbiteri e laici... tutti dobbiamo imparare a prenderci cura gli uni degli altri per dare corpo al Vangelo. Non è un sogno, ma un cammino ben preciso in piena comunione con papa Francesco.