Formazione. La vera sfida contro i conflitti è la difesa della democrazia
Manifestazione contro la guerra all’Arco della Pace di Milano
Nel vuoto della democrazia, si agitano i fantasmi. Sono sempre più minacciosi, sembrano toglierci il respiro. Prendono le sembianze degli egoismi nazionali di ritorno, della resilienza sorprendente dei populismi, della violenza che annichilisce e cancella le sue tracce. Ma il vuoto odierno può diventare anche uno spazio per ricostruire. Servono però idee e parole nuove, innanzitutto per chiamare con il loro nome gli spettri che si muovono intorno a noi. Il mondo occidentale in particolare, ma non solo, è da anni sottoposto a una serie di 'stress test' senza precedenti.
Sono le regole che ci siamo dati dal secondo conflitto in poi a essere state messe in discussione. Anno dopo anno, crisi dopo crisi. Prima la pandemia e ciò che ha prodotto, poi il conflitto in Ucraina e la ricaduta in una logica di scontro militare, mentre sullo sfondo segnato da una crisi climatica che è anche una nuova lotta per le risorse, ecco scorrere le immagini di tanti orrori dimenticati. Alcuni esperti di politica internazionale si sono spinti, nelle ultime settimane, a parlare addirittura di una 'guerra costituente' in vista di un possibile, nuovo ordine mondiale. Sarà davvero così? A oggi, le democrazie svuotate provano a trattenere il buono che c’è, tentando di non cedere sui valori e di essere il più possibile inclusive. Nel frattempo, c’è chi avverte la necessità di tornare a seminare, attraverso le scuole, i percorsi formativi, il coinvolgimento dei giovani. Spesso si tratta di minoranze costruttive e seguire i loro passi può essere utile.
Da dove ripartire? Dalla ferita di Capitol Hill, con l’irruzione degli estremisti trumpiani nel tempio della democrazia americana il 6 gennaio 2021, all’ordine di guerra impartito da Putin il 24 febbraio scorso, abbiamo assistito a fatti inconcepibili fino a poco tempo fa. Eppure si è trattato solo del disvelamento, sia pur brutale, di una realtà che c’era da tempo: quella della fragilità dei nostri sistemi di governo, della nostra debolezza. «È doveroso e necessario tornare a parlare di democrazia» spiega Ivana Borsotto, presidente di Focsiv, la Federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario. La battaglia per destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo svi- luppo, che la federazione porta avanti da tempo in Europa e non solo, è un investimento di fiducia nel futuro, in un mondo migliore, senza armi. Una prospettiva opposta a quella che stiamo vivendo, certo non utopistica. «La democrazia è una precondizione dello sviluppo – continua Borsotto – ma è anche una forma di governo fragile, poiché è l’unica che può autodistruggersi. È una tensione, un processo da costruire e si sostanzia di diritti. Il nostro impegno è quello di rendere evidenti i vantaggi della democrazia, che servono anche per gestire i conflitti».
La presidente della Focsiv sottolinea come sia più facile che «a dichiarare guerra siano i regimi, che hanno bisogno del nemico. Semmai ciò che ha illuso l’Europa è stato pensare che democrazia e sviluppo potessero andare di pari passo ». La democrazia ha voluto dire, nel Vecchio continente, alfabetizzazione, istruzione, nascita e rafforzamento del- la società civile. Poi ci sono i traguardi lontani. «La pace, ad esempio, è un percorso lungo. Abbiamo goduto di 80 anni di conquiste fondamentali, dai diritti sociali alla libertà di espressione e di stampa. Ecco, da questo punto di vista, queste settimane ci hanno detto, guardando alla Russia, che la democrazia non è data una volta per tutte, che c’è chi vuole costruire una realtà fatta di fake news e post verità. Dobbiamo dimostrare che è meglio vivere in un contesto democratico».
È il patrimonio della fiducia nel domani a essere stato intaccato, quello stesso patrimonio costruito per decenni da istituzioni, partiti, sindacati, società civile. Possibile che sia andato tutto in fumo? «Dobbiamo riuscire a rendere concrete le cose – risponde Borsotto –. La scuola faccia la sua parte, promuovendo senso di appartenenza democratica e cittadinanza. E poi dovremo avere il coraggio di contrapporci alla logica dilagante della paura, che spinge a trovare riparo rassicurante nell’uomo forte e nelle autocrazie. La Chiesa ci dice che la democrazia non va avanti per inerzia, ma dipende da ciascuno di noi, basta pensare a quanto affermano la Fratelli tutti e la Laudato si’ ». Tanti percorsi associativi degli ultimi anni, cresciuti nel mondo ecclesiale, dall’Azione Cattolica alle Acli, sono lì a testimoniare questa perenne tensione a farsi carico, con modalità nuove, della realtà così com’è, cercando di individuare risposte possibili nella costruzione dei nuovi equilibri sociali.
Si tratta anche di mettere insieme mondi diversi, a volte. Religioni, culture, sensibilità differenti. Il prossimo mese di luglio, ad esempio, verrà lanciata 'Una scuola per la democrazia'. Gli enti promotori sono la Fondazione Centro culturale valdese, in collaborazione tra gli altri con l’Università La Sapienza e la Fcei, la Federazione delle Chiese evangeliche italiane. «Ci siamo chiesti – spiega il direttore della Fondazione, Davide Rosso – quale fosse lo stato di salute della democrazia in Occidente. Ci interessava uscire dall’analisi meramente accademica per coinvolgere i territori, con veri e propri laboratori aperti a studenti e uditori. Non ci si forma alla de- mocrazia da soli, ma occorre mettere nelle mani di tutti gli uomini di buona volontà una 'cassetta degli attrezzi' perché le persone possano riflettere sui valori che ci accomunano e facciano rete insieme».
Ci sono infatti una responsabilità personale e una ricaduta comunitaria da assumere, per reagire al vuoto culturale odierno. Nel frattempo, va registrata la domanda di pace 'senza se e senza ma' delle nuove generazioni, che marcia di pari passo con un ambientalismo sempre più radicale. In gioco c’è quello che nel suo ultimo libro 'Titanic. Naufragio o cambiamento di rotta per l’ordine liberale' (Il Mu-lino), Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, definisce come il «vincolo di cittadinanza». «Tutte le società occidentali risultano afflitte dalla contrapposizione tra forme di populismo identitario e sovranista e tendenze oligarchiche e tecnocratiche, caratterizzate in maniera più o meno accentuata, dalla svalutazione effettiva del vincolo di cittadinanza – scrive Parsi –. La cittadinanza 'impiccia', con il suo gravoso carico di doveri necessario per poter tutelare e usufruire dei diritti che essa comporta». Occorre dunque rimettersi in gioco, a tutti i livelli, per cercare di diradare le ombre del presente, alzare lo sguardo e non restare soffocati dall’angoscia inevitabile dello scontro bellico. «Come evitare di divenire prigionieri della tragedia della cronaca e mantenere il senso della storia, anche in mezzo alla guerra?» si è chiesto Luca Jahier, già presidente del Cese, il Comitato economico e sociale europeo, in un recente intervento sul settimanale diocesano torinese 'La Voce e il Tempo'. «Cercando la pace, evitando la polarizzazione tra civilizzazioni in conflitto, facendo ogni cosa per salvare l’umano». Il tempo di formazione e di cura per dare forma a una democrazia di pace sarà lungo e gravoso, probabilmente richiederà più di una generazione. Non mancheranno errori, ostacoli, nuovi scontri di civiltà, ma questa rimane l’unica via possibile per salvare il nostro futuro.