Serve un dibattito serio. La transizione energetica non può far a meno del nucleare
Può darsi che per l’Italia sia conveniente inserire anche l’energia nucleare tra le fonti di elettricità del futuro prossimo. Nella strada verso l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra nel 2050 anche l’atomo può dare un contributo importante, ricorda l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea). Già oggi il nucleare è la seconda principale fonte di energia a basse emissioni dopo l’idroelettrico e attualmente ci sono quindici Paesi che stanno costruendo nuove centrali, con 60 reattori che si aggiungeranno ai 440 già in attività. Secondo la Iea la capacità globale di produzione di energia atomica raddoppierà nel giro di trent’anni. Sarebbe strano che in questo settore ci fossero opportunità per tutti e non per l’Italia, che è riuscita a mantenere una filiera dell’industria dell’energia nucleare nonostante abbia spento le sue centrali più di trent’anni fa. Il principale punto di forza del nucleare, in un mondo in cui le rinnovabili avranno un ruolo sempre maggiore, è quello di essere una fonte stabile: a differenza dell’eolico e del solare fotovoltaico può garantire sicurezza di approvvigionamento a prescindere dalle condizioni meteorologiche, salvo casi estremi.
Questo vale per le tecnologie attualmente disponibili, come i reattori di terza generazione in costruzione in mezzo mondo, e ancora di più per le tecnologie che arriveranno. Ci sono aspettative molto alte per i mini-reattori nucleari modulari (chiamati Smr, che sta per Small modular reactor) che abbattono i tempi e i costi di costruzione rispetto alle centrali tradizionali. I due primi mini-reattori sono già operativi in Cina e Russia. Nel frattempo i progressi in Europa e negli Stati Uniti negli esperimenti di generazione di energia dalla fusione nucleare, che sembrava una tecnologia utopica solo pochi anni fa, lasciano sperare che per la metà di questo secolo potremmo davvero alimentare i nostri consumi elettrici riproducendo sulla Terra – in una forma controllata, gestibile e sicura – il processo potentissimo che avviene sul Sole e le altre stelle.
Ma può anche darsi che l’Italia possa continuare a fare a meno del nucleare, in tutte le sue forme, e faccia meglio a cercare di raggiungere un alto livello di sicurezza energetica grazie agli investimenti sulle rinnovabili e sui sistemi di accumulo. Perché l’energia atomica ha i suoi vantaggi ma anche i suoi problemi, senza bisogno di tirare in mezzo Chernobyl. Dobbiamo ancora trovare un posto dove mettere le scorie prodotte dalle centrali che abbiamo abbandonato. Mentre l’esperienza di alcuni dei cantieri nucleari europei più recenti – come i nuovi reattori per le centrali di Olkiluoto in Finlandia, Flamanville in Francia o Hinkley Point nel Regno Unito – ci ricordano che in questo settore i tempi tendono a dilatarsi e i costi di realizzazione dei reattori possono impennarsi fino a rimettere in discussione il senso economico dei progetti. La transizione energetica è un percorso obbligato, ma non semplice. Anche quando si parla del nucleare. Occorre partire da questa premessa, se si vuole rimettere l’energia atomica nell’agenda delle cose da fare in Italia, come sta facendo il governo.
Serve un dibattito aperto, senza ideologie e risse inutili. Siamo solo all’inizio di questo percorso, ma in questo senso le avvisaglie non sono buone. Matteo Salvini è ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e non è chiaro fino a che punto abbia titolo per spiegare i progetti nucleari dell’esecutivo. Però solo nell’ultimo mese ha detto che è possibile «accendere nel 2032 il primo interruttore di una centrale nucleare» in Italia, che lui da milanese vorrebbe un «reattore di ultima generazione nella mia città» e che «chi dice di no al nucleare o non capisce o è ignorante e preferisce dipendere dal gas algerino e russo o dalle centrali a carbone della Cina». Gilberto Pichetto Fratin, che da ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica è certamente il più titolato a parlare di quello che il governo intende fare sull’energia nucleare, si muove con cautela, ripete che si ragiona sui reattori piccoli, sul «nucleare del futuro, che non sarà oggi e non sarà domani». Interpellato sull’idea di una centrale a Milano, Pichetto Fratin ha risposto che «è una questione di preferenze, ognuno ha le sue».
Una replica garbata a una sparata senza senso. O almeno senza un senso “tecnico”: nessuno costruirebbe una centrale atomica a Milano, ma dire un’assurdità del genere può servire a catturare un po’ di attenzione in un dibattito pubblico che segue le logiche dello show e dei like sui social più che quelle del confronto sulle idee e sui fatti. Può servire a rafforzarsi in una logica del “noi contro gli altri”, nel tentativo di cercare consenso attraverso la creazione di divisioni e polarizzazioni anche su questioni tecniche come gli impianti per generare elettricità. Ma più si abbassa il livello del dibattito più si riducono le speranze di progredire sui progetti concreti. Gli improvvisati ultrà dell’atomo rischiano così di diventare i peggiori ostacoli al ritorno al nucleare.