Palermo. Stare sempre con i deboli. La testimonianza di don Puglisi, la parola del Papa
Martire significa testimone. Don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia 25 anni fa, ricordato ieri a Palermo da una folla immensa insieme al papa Francesco, è certamente un martire. Ma che cosa testimonia una morte così, fra le altre? Ci sono le storie di lotte e di eroismi sconfitti su cui piangere e far monumenti; qui la storia di una vita donata che come un seme inghiottito dalla terra comincia in segreto a dar frutto d’altra natura. Il frutto dei santi. Nei molti lutti che la mafia ci ha inflitto, questa lebbra esecrata che non riusciamo a strapparci di dosso dopo tante leggi, arresti, pentiti, processi, carceri e tante parole (parole sì, lo dico senza accusa, ma con qualche dolore, se l’immensa biblioteca non ci ha liberato) abbiamo visto vanificate le episodiche vittorie. La piovra, decapitata, rinasce. Dov’è la sua radice, il suo germe?
A rinforzare la lotta abbiamo tentato di aggiungere la sfida culturale, nelle associazioni, nelle comunità sensibili, nelle scuole, contando sull’intelligenza per intendere la giustizia, sul cuore per intendere la scelta fra il bene e il male. Ancorati a un dogma laico di solidarietà civile che è il sogno, o la promessa, o comunque l’esigenza irrinunciabile della vita che si vive insieme. Ma c’è qualcosa di più, sul piano della fede, che fa la differenza. Ce lo ha ricordato ieri il papa Francesco, quando ha detto che «non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore». Sì, avevamo sentito talvolta che ci sono mafiosi "religiosi", che hanno in casa i lori altarini di sacre statue, venerano immagini che richiamano il cielo. Si dicono credenti, forse persino vi intrecciano qualche aspetto dell’onore. Che volete che contino, di fronte a una potenza devota, quelle nullità che sono le formiche umane, se intralciano i progetti?
Ora, nelle parole del Papa, la folgore di 25 anni fa (ricordate Giovanni Paolo II ad Agrigento?) si rinnova e dilata dentro un cono di luce persistente: chiede la conversione attraverso un cammino rovesciato, che inizia dal basso, dall’uomo, dalla dignità dell’uomo, dal rispetto dell’uomo, dall’amore per l’uomo. Non puoi amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo che vedi. E già scritto nel libro sacro. Oggi vien ripetuto che non si può credere in Dio e odiare il fratello, e dunque chi dice "credo", e odia, è un bugiardo. E che la "litania mafiosa" è il contrario della fede. E che il potere si esprime nel servizio; e che il bivio della vita è essenzialmente fra l’egoismo e il dono di sé.
Contro la mafia abbiamo messo in campo di tutto, diritto, sociologia, storia, appelli e galere. Ma ora sono le parole del Vangelo, quelle che vanno alla radice del problema: sul piano umano, sociale e anche politico. Sappiamo infatti, ormai, che la mafia non è semplicemente l’elenco di cosche, ’ndrine, cupole e clan, esiste una "mafiosità" che può diventare costume e insinuarsi nel malaffare acefalo e anonimo, connotando i delitti che compie con l’intimidazione e l’omertà. Avidità di denaro e desiderio di dominio, sprezzo degli altri. Dovunque accada.
Se qualcosa di questo potenziale di egoismo e di latente disprezzo (verso i diversi, gli estranei, gli avversari, i "nemici") contagia il pensiero dei "benpensanti", e si finge buonsenso, e si ficca nel cuore, nessuno sogni che nascano fiori in luogo di ortiche, in un campo così inquinato. Se il vaccino antimafioso è la cultura del rispetto, della solidarietà, del servizio, e persino dell’amore e del dono di sé (e chi dice di credere in Dio deve pur prender sul serio queste parole), allora c’è bisogno di stare con i deboli, come Puglisi. Sempre. E cambiare qualcosa anche nella vita politica, cui partecipiamo; nel linguaggio, nel tratto, nel contenuto. «Sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese», dice il Papa. Sembra un motto di coraggio, per la mitezza che incrocia i molti populismi gridati e aizzanti ora in voga. Ma è l’unico populismo possibile, ispirato al Vangelo che ci fa «popolo di Dio», nella fede; che oggi raccoglie la testimonianza di un prete che per il suo popolo, i suoi ragazzi, la vita l’ha data intera.