Figli di grandi criminali: ancora sullo show di Riina jr La settimana scorsa Rai Storia ha trasmesso un documentario angosciante, e purtroppo l’ho visto. Dico “purtroppo” perché non potrò più liberarmene, resterà conficcato per sempre nel mio cervello. Era una ricerca su una donna tedesca, che dopo la guerra scoprì che suo padre, ufficiale delle SS, di servizio ad Auschwitz, era un torturatore. Il cognome del padre era Böger. Quel nome indica anche uno strumento di tortura, una macchina crudele e maligna, nota come “altalena Böger”. Scoperte queste cose, la donna entrò in angoscia: «La vita mi viene da mio padre, qualcosa di mio padre è in me, il suo dna, lui era un demonio, c’è un demonio dentro di me?, e se avrò dei figli, metterò il demonio dentro di loro?». Per scongiurare questo orrore, la donna cercò una clinica e si fece sterilizzare. Non approvo la parte finale di questa storia, la condanna di se stessa, come colpevole di crimini di cui non era a conoscenza, e la condanna dei figli, non ancora nati. Ripeto: questa parte non l’approvo. Ma capisco che la donna si trovava di fronte a un dilemma atroce, ineludibile, questo: sono figlia di un criminale, faccio finta di niente o devo pormi il problema? Lei ha risposto: devo pormi il problema. Non posso vivere come se mio padre fosse un uomo per bene. Mio padre mi ha amata, gli sono grata per questo. Ma mio padre ha ucciso e torturato, lo devo condannare per questo, e devo staccarmi da lui. Lui sta da una parte, la giustizia e l’umanità dall’altra. Io devo andare con la giustizia e l’umanità. Come tutti sanno, dopo il clamore suscitato da una puntata di “Porta a porta” su Rai1, la settimana scorsa è uscito un libretto di 230 pagine, scritto dal figlio del capo dei capi di Cosa Nostra, quello che è all’ergastolo col 41 bis per un sacco di omicidi, tra cui la strage di Capaci e la strage di via D’Amelio, insomma le uccisioni di Falcone e di Borsellino e dei loro accompagnatori. Questo figlio ha scontato anni di prigione, anche lui per appartenenza alla mafia, quindi l’organizzazione la conosce bene. Quando il Tg1 trasmise la notizia della strage di Capaci questo ragazzo era in casa, e osservava il padre che guardava il tg senza battere ciglio. Stessa scena più tardi, per la strage di Borsellino. La vita di questo ragazzo, quand’era col padre, era un continuo spostamento da una casa all’altra, da un covo all’altro, sempre sotto falso nome. Lui non s’è mai chiesto nulla sul padre, né allora né ora. E non gli ha mai chiesto nulla. Il padre non gli faceva mancare nulla, e tanto gli bastava. Non metto in dubbio la buonafede di questo ragazzo, ora uomo e anche autore di un libro, ma mi chiedo: se non ha chiesto, se non s’è chiesto, se non ha cercato e non ha trovato nulla, nella vita di un padre sballottato da un carcere all’altro, sempre al 41 bis, col quale parlava ogni tot mesi via telefono attraverso un vetro, un padre autore di numerose stragi una più spietata dell’altra, allora questo giovane uomo, a sua volta condannato per mafia, è “vuoto”, non ha niente dentro, né un’idea di bene né un’idea di male. È una
tabula rasa. È sulle tabule rase che si costruiscono i mafiosi. Rozzi, ignoranti, obbedienti. Refrattari alla scuola, alla legge, alla società. Mai un giorno in una classe, per questo ragazzo, solo le quattro acche che gl’insegnava la madre, in cucina. Cresciuto allo stato brado, non ha una cultura fanatica, ha il fanatismo dell’incultura. La cultura fanatica uccide per un’idea sbagliata. Il fanatismo incolto uccide per la mancanza d’idee. Questo ragazzo si dice grato «a padre e madre» per quel che gli hanno insegnato. Dovrebbe rimproverargli quello che gli hanno impedito di conoscere, praticamente tutto.