Il caso olandese. Noa, l’assenza dello Stato che non cura
Caro direttore, non vi è dubbio alcuno sull’estrema drammaticità della storia di Noa, la giovane e bella ragazza olandese di diciassette anni, morta nella sua abitazione per suicidio assistito (le cui modalità si comprenderanno a conclusione degli accertamenti in corso).
Morta perché caduta in profonda depressione in seguito a più stupri subiti sin dall’età di 11 anni. Una vicenda che mozza il fiato. Tuttavia, come in altre circostanze drammatiche, non possiamo lasciare l’ultima parola al sentimento di angoscia che ci assale, aggiungendo semplicemente un sospiro sconfortato.
Certamente, l’umanità dolente va sempre riconosciuta e accolta. Così è per Noa figlia, nipote, sorella nostra. Tuttavia, abbiamo il dovere di riflettere e trovare insieme quelle risposte ai problemi e ai dolori della vita, in questo caso in parte ancora mancanti e in parte chiaramente mancate, che non portano a fare della morte una scelta condivisa e organizzata, esito di una pianificazione concordata, ma a superare gli ostacoli per riconfermarsi nella vita, scoprendone comunque un senso positivo e insieme a esso la preziosità di se stessi. La vicenda di Noa presenta diversi aspetti conturbanti: le ripetute violenze subite, il comprensibile stato di depressione e la malattia psichiatrica (autolesionismo, tentativi di suicidio, ricoveri), la minore età, un’ostinata opzione per la morte, la battaglia legale, l’annuncio sui social, l’aiuto a farla finita.
Ma prima di ogni altra considerazione, una domanda: che ne è stato dei violentatori? L’affermarsi della giustizia con un processo e una severa condanna avrebbero forse potuto attutire la depressione della vittima. L’Olanda è stato il primo Paese europeo ad approvare la cosiddetta 'interruzione volontaria della vita' che apre a certe condizioni alla morte su richiesta da parte dei minorenni. Fino a oggi, però, almeno ufficialmente, non si era verificato un caso simile a quello di Noa. Evidentemente, la breccia aperta solo per alcune situazioni ha trascinato con sé molto di più di quello che si credeva di aver stabilito. Molti tra i fautori dell’eutanasia non vogliono sentir parlare del 'piano inclinato', ovvero di quel 'pendio scivoloso' che un po’ alla volta veicola e trasporta sempre più situazioni verso la fine della vita su richiesta. Eppure è così. L’esperienza lo dimostra.
Una volta rotto il principio della indisponibilità della vita (la morte si accetta, ma non si cagiona), tutto è possibile. Una volta scissa la vita dalla qualità della vita, la biologia dalla biografia, l’essere umano dalla persona, la dignità dai diritti, tutto è possibile, tutto diviene lecito. Fa riflettere quanto scritto da Noa su Istagram: «Non ero viva da troppo tempo, sopravvivevo e ora non faccio più neanche quello. Respiro ancora, ma non sono più viva».
Quanti potrebbero dire la stessa cosa, in momenti difficili della vita dove l’angoscia e il buio sembrano prendere il sopravvento? La fede religiosa con l’orizzonte di senso e di speranza che riesce ad aprire aiuta davvero tante persone nella stessa fragilità, e avrebbe potuto aiutare anche questa giovanissima donna. In ogni caso, nessuna umana risposta dovrebbe assecondare la morte organizzandola, né in ospedale né a domicilio, ma essere tesa a ridare – per restare in tema – la vita a chi si trova nella sofferenza: cura e amore; amore e cura.
Tanto più, questo, in una famiglia fondata sull’amore e in uno Stato civile. La famiglia, a quanto sappiamo, accanto a Noa per la sua parte c’è stata. Non c’è stato, invece, lo Stato olandese con cure adeguate e realmente fruibili: medici e psichiatri che hanno seguito la ragazza lo hanno sottolineato con amarezza. Un’assenza terribile. Che la presenza di giudici che hanno amministrato e amministreranno la legge eutanasica non colma e, anzi, ingigantisce. La morte – ripetiamolo – si accetta e non si cagiona. Pensiamoci bene adesso che in Italia si torna a discutere e si progetta di legiferare di nuovo su fine vita ed eutanasia.
Presidente del Movimento per la Vita italiano