L'analisi. La Teoria monetaria moderna: lente più che ricetta miracolosa
Chi cerca MMT su Google in italiano ottiene come primo risultato l’indirizzo di un sito che si occupa di macchine agricole. Le chiamano anche 'macchine movimento terra' e quindi, in breve, mmt. Nei risultati del motore di ricerca seguono altri portali agricoli e, finalmente, arriva la definizione della Teoria della Moneta Moderna (Modern Monetary Theory, in inglese) offerta da Wikipedia. Dopodiché fanno capolino gli articoli che Avvenire nelle ultime settimane ha dedicato a questa visione del ruolo della moneta nella società. Il nostro giornale è stato probabilmente il primo quotidiano italiano a spiegare che cosa sia questa Teoria monetaria moderna e certamente l’unico che ha ospitato un dibattito sulla questione, con nove contributi di esperti ed economisti che hanno offerto la loro lettura della MMT e di quello che rappresenta per i tempi in cui viviamo, più alcune lettere-intervento, compresa quella di Rete MMT Italia, l’associazione italiana che la promuove. Negli Stati Uniti questa teoria è stata resa molto nota da un paio di deputati democratici – compresa la popolarissima Alexandria Ocasio-Cortez – e lo scontro politico sulla MMT è così acceso che al Senato qualcuno è arrivato a proporre di abolirla per legge. Là, insomma, per l’algoritmo di Google chi cerca informazioni sulla MMT non è un agricoltore che ha bisogno di nuovi macchinari ma un cittadino medio che vuole capire qualcosa di più su come funziona l’economia.
A chi ha seguito il dibattito ospitato da queste pagine non può essere sfuggito che la maggioranza degli economisti e degli esperti che hanno partecipato sono stati piuttosto critici rispetto a ciò che la MMT rappresenta. Da un lato per la vaghezza di una teoria che «non brilla per una sistematicità di trattazione, per un rigore formale e per una verifica delle proprie ipotesi con procedure tipiche del rigore accademico», come ha scritto suor Alessandra Smerilli, professore di Economia politica all’Ateneo Pontificio Auxilium. Dall’altro per le sue possibili applicazioni pratiche. L’idea di base per cui dovrebbe essere lo Stato, e non la Banca centrale, ad avere la 'manopola' che regola la massa monetaria di un Paese stampando più moneta quando occorre investire per creare piena occupazione «espone a rischi enormi di cattivo utilizzo e dunque a probabilità di alimentare spirali inflazionistiche molto elevate», come ha avvertito Leonardo Becchetti, ordinario di Politica economica a Tor Vergata. «Questa teoria monetaria moderna rischia di essere non solo illusoria, ma anche pericolosa: perché la moneta facile perderebbe rapidamente tutto il suo valore», ha aggiunto Gianfranco Fabi, già direttore di Radio24 e vicedirettore del 'Sole24Ore'. Questo rischio, concludeva Becchetti, porta quasi tutti gli economisti a guardare con perplessità «a un’utopia che nasce con le migliori intenzioni di risolvere i problemi dei più deboli rischiando però seriamente di aggravarli».
La questione centrale è il rapporto tra la politica e l’economia. Lo ha evidenziato bene uno degli interventi più favorevoli alla MMT, quello di Francesco Gesualdi, il fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, sottolineando due dei princìpi di fondo della Teoria monetaria moderna: «L’interesse collettivo è preminente su quello privato; la moneta va gestita come un bene comune al servizio di tutti, anziché come merce per il lucro di pochi. Abbiamo un assoluto bisogno di trovare delle modalità per fare tornare gli Stati a svolgere un ruolo di promozione sociale ed economica ». Questo è evidentemente un tema da trattare con estrema cautela. Perché non si può dare per scontato che i governi stiano facendo i reali interessi dei cittadini. «È chiaro che la MMT immagina che gli obiettivi delle classi politiche e dei governi coincidano perfettamente con gli obiettivi dei cittadini. Sappiamo che non è così: che l’orizzonte temporale degli uni e degli altri è diverso, che le strutture burocratiche sono governate da incentivi differenti da quelli del settore privato, che i decisori spesso sono 'catturati' da questo o quel gruppo di pressione per fare il suo interesse, e non un sempre sfuggente interesse generale», hanno ricordato Nicola Rossi e Alberto Mingardi, del think tank Istituto Bruno Leoni. Anche Smerilli, certo non sospetta di una visione 'liberista' dell’economia, ha sottolineato come se riteniamo che lo Stato pensi al bene di tutti e i mercati solo agli interessi di alcuni «sopravvalutiamo lo Stato, come se non fosse governato anche da interessi di parte e a volte di breve periodo, e svalutiamo il mercato come se non fosse nato per permettere la circolazione della ricchezza».
Pochi si fidano della bontà delle applicazioni pratiche delle idee della MMT. C’è invece più fiducia sul ruolo che questa teoria può avere nel dibattito pubblico sulla politica monetaria. Andrea Terzi, docente di Economia monetaria all’Università Cattolica di Milano e ricercatore classificabile come tra i 'sostenitori' della MMT, ha fatto presente che più che una vera teoria questa è «una lente di osservazione dei processi di creazione e circolazione del denaro ed è una ricetta per piena occupazione e la stabilità dei prezzi». Se usare la MMT per cambiare le regole del gioco dell’economia può essere pericoloso, usare i suoi schemi interpretativi per leggere la realtà può rivelarsi utile. Soprattutto per capire le sorprese monetarie dell’ultimo decennio. Ad esempio il fatto che nonostante le banche centrali abbiano moltiplicato la quantità di moneta a disposizione, l’inflazione è rimasta fiacca dovunque. Un dato che va apparentemente contro le 'normali' regole economiche e che ha convinto i 'falchi' tedeschi ad accettare, a un certo punto, anche che la Bce potesse comprare titoli pubblici, qualcosa di impensabile dieci anni fa.
Il Giappone è sicuramente il Paese più avanti di tutti nelle sperimentazioni di politica monetaria. Questo perché è quello che vive da più tempo il problema dell’inflazione a zero o poco sopra (quando non sotto zero). Proprio a Tokyo, infatti, stanno cercando di applicare alcuni dei princìpi della MMT, come ha notato Giuseppe Pennisi, economista che per anni ha lavorato in istituzioni come la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale. L’Abenomics del premier Shinzo Abe ha 'recepito alcuni aspetti della MMT', ha scritto Pennisi, e soprattutto 'tramite l’Abenomics la Teoria sta ricevendo attenzione da economisti vicini all’attuale maggioranza di governo'. Matteo Salvini, più come potenziale futuro presidente del Consiglio che come attuale ministro dell’Interno, non nasconde di volere imitare la strategia di Abe, fatta di massicci investimenti pubblici e una Banca centrale molto attiva sui mercati.
Da sottolineare, però, che l’Abenomics non è riuscita a ridare slancio al Pil né all’inflazione e nemmeno alla denatalità, che sembra il primo fattore dietro la cronica stagnazione nipponica. Forse perché Abe, così come molti sostenitori della MMT, rischiano di sopravvalutare il ruolo delle banche centrali. «La politica monetaria non serve quando si attraversano crisi di fiducia e di aspettative. Per uscire da queste crisi – come è ancora la nostra – occorrono grandi investimenti pubblici e privati», ha sottolineato Luigino Bruni, riportando il dibattito al pensiero di John Maynard Keynes. Finché non ritroveremo fiducia e ottimismo, e quindi investiremo perché convinti della possibilità di migliorare la nostra situazione futura, non riusciremo a lasciarci davvero alle spalle la crisi. Se questo è il contesto, sarebbe pericoloso illudersi che la MMT ci possa tirare miracolosamente fuori dai nostri problemi.