Opinioni

Tecnologia. Google ora mostra solo i siti a formato di smartphone. Non adeguiamoci

Luca Peyron lunedì 19 agosto 2024

Il logo di Google sullo schermo di uno smartphone

È una notizia da circoli chiusi. Non un segreto, ma che ha a che fare così tanto con il codice che sembra roba buona solo per gente da codice, come gli agenti segreti. O gli informatici. Google cambia per sempre. O per meglio dire tira dritto. Verso dove? Prima di rispondere facciamo un passo di lato ad una non più notizia: viviamo onlife. Quel sospeso, appeso, conteso o naturale essere tra online ed offline, tra virtuale e reale, tra connesso ed analogico. Tra terra e bytes.

Da pochi giorni molto è cambiato. In silenzio, come accade nelle transizioni che interessano la rete. Benché annunciato da diversi mesi, diventa operativo il nuovo sistema con cui Google indicizza i siti internet. Indicizzare significa raccogliere, analizzare e organizzare le informazioni disponibili su web. Questo processo inizia con la scansione, effettuata da software chiamati crawler o spider, che navigano automaticamente tra i siti.

Durante la scansione, il motore di ricerca esamina il contenuto delle pagine, per comprenderne significato e rilevanza. Successivamente, queste informazioni vengono archiviate in un vasto database strutturato, che consente al motore di ricerca di recuperare rapidamente e accuratamente i risultati pertinenti per gli utenti. Ciò che è indicizzato esiste, ciò che non lo è, o lo è male, benché esista, è come se non lo fosse, perché buona parte del traffico su internet passa per le ricerche, atterra sui diversi siti perché la torre di controllo Google fornisce la pista.

La novità è che da ora in poi i siti che non sono strutturati per essere consultabili attraverso lo smartphone non saranno più indicizzati. Dal punto di vista tecnico, significa qualche aggiustamento eventuale da fare, o una ristrutturazione per i ritardatari. Ciò che mi pare rilevante è la questione culturale di fondo. Esiste ciò che passa per uno smartphone. Ciò che è portabile, consultabile ovunque, pronto all’uso. Un mondo sempre più prêt-à-porter. Le visioni delle grandi Big Tech sono diventate la nostra cultura condivisa, da strumento il digitale è diventato architrave della nostra vita, del nostro pensiero, dei nostri atteggiamenti anche interiori. La velocità con cui la macchina risponde è diventata la velocità con cui pretendiamo che le persone rispondano.

Se la ricerca è online ed immediata, in tasca, ogni ricerca dovrebbe essere così. Anche quella vocazionale, esistenziale, di senso. In tasca, subito. Basta che ci sia campo. E ormai il campo è ovunque, anche in mezzo alla giungla e presto sulla Luna. Non devo più neppure aprire il pc e sedermi ad un tavolo. Scorro un dito ed il mondo appare in uno schermo piccolo piccolo. Uno schermo così piccolo che forse non fa paura, ma che uccide in particolari, che diventano invisibili, le sfumature di colore, di parole, di senso. Condizionate dalla luminosità dello schermo e dai riflessi del sole. Non dobbiamo arrestare il progresso, ma chiedere che si preservi il senso quando le novità rischiano di annullarlo. E sono i giovani che spesso ce lo mostrano ad esempio leggendo più libri, di carta, di quanto facciano gli adulti. Per avere un’isola analogica nel grande fiume digitale. Google cambia, i giovani ci mostrano che noi, giovani da più tempo, non dobbiamo cambiare con Google, non tutto, non ciò che conta e che i giovani si aspettano che noi continuiamo a custodire per loro e con loro. L’odore della carta, il sapore dell’attesa, il profumo del pavimento che scricchiola.