Crisi demografica. La Spagna fa cittadini i nipoti degli esiliati
Piazza Cibeles a Madrid
Nella Casa de Cantabria all’Avana le foto alle pareti di romerias, processioni, feste patronali, celebrazioni familiari e solenni, tessono la trama della memoria condivisa fra Spagna e Cuba da generazioni. Parlano di rincontri con i propri cari, di ricordi e di añoranza, della nostalgia della terra d’origine. Paesini cantabri, ma anche di Asturie, León, Castilla-la Mancha… Luoghi d’oltremare, spesso mai visitati, conosciuti solo attraverso parole e volti sfocati. A Villamayor, frazione di Castro Caldela, nell’Ourense, in Galizia, da dove i genitori si imbarcarono nel 1935 in piena Guerra Civile, sul piroscafo el Mexique alla volta di Cuba, Orlando Alonso Álvarez non è mai stato. Dal papà imparò il mestiere di arrotino accompagnandolo con la bottega ambulante il sabato, nel giro per i quartieri de El Cerro o Miraflores, dove risuonavano echi della Spagna lontana.
Se c’è qualcosa che a 80 anni non ha perso la speranza di fare, è recarsi a Castro Caldela, il luogo delle radici, soprattutto dopo aver ottenuto la nazionalità spagnola, grazie alla legge di Memoria Storica varata nel 2007 dal governo Zapatero. I suoi figli Yolanda e Orlando, allora già grandi, non poterono avere la nazionalità, trasmissibile dai genitori solo ai discendenti minori di 18 anni. L’hanno però acquisita ora, con la generosa legge di Memoria Democratica, nota come ley de nietos, legge dei nipoti, in vigore dal 21 ottobre scorso, che allarga molto il ventaglio di opportunità di ottenere il passaporto iberico, con cui muoversi liberamente nello spazio Shengen. In base allo ius sanguinis, permette di farne richiesta a «tutti i nati fuori di Spagna da padre e madre o nonni originariamente spagnoli», che perdettero la nazionalità perché esiliati per motivi politici, ideologici, di credo o anche orientamento e identità sessuale. Inclusi i figli delle donne che persero l’appartenenza spagnola dopo il matrimonio con stranieri, prima dell’entrata in vigore della Costituzione democratica nel 1978. E quelli di genitori diventati cittadini iberici con la prima legge di Memoria Storica – come Yolanda e Orlando – eliminando i limiti di età.
La differenza significativa è che la nuova norma consente “salti generazionali”, poiché i nipoti degli esiliati fra il 1936 il 1975 – fra l’inizio della Guerra Civile e la morte del dittatore Franco – possono accedere alla naturalizzazione anche se i genitori non l’abbiano fatto in precedenza. « L’obiettivo è riparare un’ingiustizia storica», ha ripetuto il segretario di Stato di Memoria Democratica, Fernando Martínez López, durante la recente visita all’Avana per sollecitare la collaborazione delle autorità locali per fronte alla valanga di richieste. Il riconoscimento e il riscatto della dignità di quanti furono sradicati e spogliati della propria identità dal regime franchista non è però l’unica motivazione dalla legge, che ha fra le finalità quella di favorire la coesione e la solidarietà fra le diverse generazioni intorno ai principi, valori e libertà costituzionali».
Cuba e Argentina, e Messico in minore misura, sono i Paesi della diaspora latinoamericana dove più cresce l’influenza della Spagna per l’alluvione di richieste di nazionalità da parte dei nipoti di esiliati. Seguono Venezuela, Cile, Nicaragua, Perù. La gran parte del mezzo milione di discendenti – circa 503.500 – che con la legge Zapatero ottennero il passaporto iberico, proveniva dai primi due Paesi, oltre 120.000 persone dall’isola caraibica, (l’1% della popolazione). Ora, secondo stime ufficiose citate da El Pais, potrebbero essere fra 300.000 e 400.000 i cubani con diritto ad avvalersi della ley de nietos. Ed è prevedibile che nella difficile situazione di crisi, non si lascino sfuggire l’occasione.
Nei primi tre mesi dall’entrata in vigore della legge al 31 gennaio scorso, nei 180 uffici consolari iberici nel mondo erano state presentate 24.720 richieste – ai dati diffusi dal ministero degli Esteri – di cui 12.862 approvate. Sono la prima ondata di uno tsunami che monta, dalle incerte dimensioni. Secondo i calcoli fatti dagli stessi consolati in collaborazione con i Consigli di Residenti spagnoli, si prevedono oltre 425.000 domande di nazionalità solo nei 5 Paesi a più alta popolazione iberica, Cuba, Argentina, Venezuela, Brasile e Messico. Oltre 700.000 persone potrebbero giovarsi della legge a livello globale, anche se è difficile una valutazione precisa. Dal 21 ottobre 2022 hanno due anni di tempo per presentare tutta la documentazione, sebbene il termine potrà essere prorogato di un anno, se così lo decreta il Consiglio dei ministri. «Anche con il passaporto in tasca, partire, lasciare affetti e radici, è una scelta molto personale», osserva Ana Gerschenson, già direttrice di Radio nazionale argentina e oggi residente a Madrid. «Negli ultimi tre anni sono arrivate oltre 100.000 famiglie dall’Argentina», spiega. Da ottobre, per la sede consolare di Buenos Aires passano ogni giorno in media 1.500-2.000 persone, e sono 45.000 le richieste di nazionalizzazione finora inoltrate, di cui 1.500 accolte. L’ingente carico burocratico, ha forzato il governo di Pedro Sánchez a rafforzare con 460 fra nuovi posti il personale delle sedi diplomatiche, per far fronte alla sfida.
Con gli appuntamenti elettorali dietro l’angolo – le municipali e regionali del 28 maggio e, poi, le politiche a fine anno – decine di migliaia di neo spagnoli hanno ingrossato il censo dei votanti e potranno votare dall’estero. Il leader del Partito Popolare all’opposizione, Alberto Nuñez-Fejióo, ha promesso di revocare la legge di Memoria Democratica se vincerà nelle urne. E Vox, la destra radicale, ha presentato un ricorso di incostituzionalità davanti all’alta Corte. «La ley de nietos non è affatto una realtà consolidata, nel mutevole panorama politico», rileva Viviana Echevarria, responsabile di uno studio legale a Madrid di consulenza migratoria. «Anche se è possibile che una revoca della normativa non coinvolga la Disposizione ottava, che riguarda i discendenti», aggiunge.
«Cerchiamo di essere più padri del nostro avvenire che figli del nostro passato ». La citazione di Miguel de Unamuno è in apertura dello studio da 700 pagine sulle Strategie per la Spagna 2050 della presidenza del governo Sánchez. Per quella data, nel paese dalla bassa natalità record – condivisa con gli altri vicini del Mediterraneo, come Italia, Portogallo, Grecia o Malta – si stima un 20% in meno di popolazione. Il che renderebbe fra l’altro insostenibile il sistema previdenziale e il welfare. Si capisce perché, fra pragmatismo e memoria, per sostenerli, Madrid orienti da anni la politica migratoria anzitutto all’accoglienza dei discendenti degli emigranti del XX secolo, i cui legami familiari e la lingua comune favoriscono una più rapida integrazione. Per poi mitigare, con riforme come quelle del mercato del lavoro e abitativa, e politiche di incentivi alla natalità e alla conciliazione familiare, la precarietà che è alla radice della diminuzione delle nascite.
Nello stesso solco si è mosso il vicino Portogallo, proprio mentre in Italia si agitava lo spettro della “sostituzione etnica” paventata a fronte dell’arrivo di immigrati. Alle prese con l’invecchiamento record – con il 35% dei residenti che ha più di 65 anni – e il calo demografico, il governo di Lisbona, guidato dal socialista Antonio Costa, ha varato un provvedimento che concede la residenza immediata ai migranti di lingua portoghese, provenienti dal Brasile e dalle ex colonie africane. Da metà marzo possono ottenere il permesso di soggiorno automatico, semplicemente accedendo a un portale in Internet. E finora sono oltre 60mila le persone lo hanno già conseguito.